Déjà-vu di Francia o forse no
martedì 7 febbraio 2017

Chi ha paura di Marine Le Pen? L’annuncio dato a Lione del programma del Front National – un impressionante manifesto nazional-populista articolato in 144 punti – non è che la conferma del già noto e violento antieuropeismo che ora si coagula nello slogan quasi trumpiano: « Adieu l’Europe, la France avant tout ».

Non solo si parla di «sottrarre la Francia alla tirannia degli eurocrati», promettendo un referendum sull’adesione all’Unione Europea nel caso non sia possibile «recuperare le quattro sovranità perdute: monetaria, economica, legislativa e territoriale», non solo si preannuncia l’uscita della Francia dalla Nato, ma anche una revisione delle alleanze internazionali «alla luce dei nostri interessi nazionali».

Il Paese che dovesse uscire da un’eventuale vittoria di Le Pen cambierebbe profondamente la propria fisionomia: dal ritorno al proporzionale con premio di maggioranza del 30 per cento alla riduzione a 500 complessivamente fra deputati e senatori, dal tetto all’immigrazione fissato a 10mila ingressi all’anno contro i 40mila attuali alla cancellazione del Jobs Act alla francese, dall’obbligo di indossare l’uniforme per gli studenti delle scuole primarie all’aumento del 50% del budget per la difesa, dall’obbligo di esporre la bandiera francese su tutti gli edifici pubblici, e contestualmente eliminare quella europea, fino alla soppressione dello spazio di Schengen e alla reintroduzione delle dogane.

In buona sostanza, la 'Frexit', accompagnata dai due spauracchi ideologici preferiti di Marine Le Pen che mescola con abilità questioni vere e prospettive distorte: la globalizzazione e il radicalismo islamico, o – per citare le sue parole – le mondialisme financier e le mondialisme jihadiste. Non senza sintomatiche quanto prevedibili conseguenze sui mercati: all’indomani del proclama di Lione, lo spread – il differenziale di rendimento tra i titoli decennali francesi e quelli tedeschi – è salito a 72 punti base, ai massimi da tre anni a questa parte.

Eppure, in linea del tutto teorica il destino elettorale della leader del Front National sembrerebbe già segnato: sondaggi incrociati attestano che la Le Pen vincerebbe con un certo agio il primo turno del 23 aprile con il 26% dei consensi contro il 23% dell’ex ministro dell’Economia e leader di « En marche! » Emmanuel Macron, tagliando fuori dalla contesa François Fillon che non supererebbe il 20% (sempre che, travolto dal Penelopegate familiare, l’ex premier non si veda alla fine costretto ad abbandonare la corsa) e a cospicua distanza il candidato socialista Benoit Hamon con il 14%.

Al secondo turno invece sarebbe il trentanovenne Macron a superare con schiacciante maggioranza la Le Pen, con una replica quasi calligrafica di ciò che avvenne nelle elezioni presidenziali del 2002, quando Jean-Marie Le Pen scavalcò con il 16,9% il socialista Jospin andando al ballottaggio con Chirac, che al secondo turno stravinse con 25 milioni di voti e l’82% dei suffragi aggregando il voto dell’intera Francia atterrita dalla sola ipotesi di essere governata dal Front National, tanto da convogliare non soltanto i voti del centrodestra. ma anche quelli del vasto e disgregato arcipelago della gauche. Pericolo scongiurato? Tutt’altro. E non solo perché dei sondaggi siamo ormai costretti sistematicamente a diffidare, quanto perché nel ventre profondo della Francia si mescolano da sempre spinte e correnti contraddittorie.

Le stesse che nel 2002 indussero gli operai portuali di Le Havre – che abitualmente si riconoscevano nel Partito comunista o nei piccoli raggruppamenti trozkisti (ne esistevano almeno tre) – a votare in massa Le Pen padre così come gli automotive workers del Michigan e dell’Ohio hanno girato le spalle ai loro sponsor democratici (malrappresentati da Hillary Clinton) e votato Donald Trump. A dar fiato alle trombe di Marine Le Pen vi è anche il paradosso denunciato da Daniel Cohn-Bendit, secondo il quale, a cinquant’anni dal maggio parigino che inaugurò il Sessantotto a sfidarsi saranno due candidati di destra.

Di qua Marine Le Pen che difenderà neanche fosse un candidato socialista le riforme del Consiglio nazionale della Resistenza e le conquiste sociali, di là l’ex socialista Macron, che tenta per quanto possibile di resuscitare il gollismo che ancora sonnecchia nel cuore di milioni di francesi. « Adieu l’Europe » contro « En marche! », la figlia del popolo che si autodefinisce «intensamente, fieramente, fedelmente, evidentemente francese» contro l’economista cresciuto all’ombra dei Rothschild e soprannominato «l’emisfero destro dell’Eliseo», la Francia popolana della paura contro quella dell’antipopulismo in camicia bianca. Con in gioco, forse, il futuro stesso dell’Unione Europea.

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