Vedere (non solo) la pandemia dal Congo e servire l'umanità anche con un vaccino
mercoledì 30 dicembre 2020

Gentile direttore,
sono un missionario, da 52 anni in Congo. Sono profondamente addolorato nel leggere e ascoltare tutti i dibattiti riguardo al ricevere o meno il vaccino contro il Covid-19. È la costante di gente che possiede troppo e che si permette di giocare sulla necessità di aprirsi gioiosamente a quell’antidoto provvidenziale per il bene proprio e della comunità in cui vive. Eppure mentre si chiacchiera l’Europa, come sempre, si mette al sicuro. E l’Africa è puntualmente dimenticata. L’Africa serve solo a essere sfruttata e privata delle sue immense ricchezze naturali da parte di multinazionali che non si preoccupano di assicurare il più piccolo beneficio alle popolazioni locali. Vivo nel Kivu che possiede l’80% di tutto il Coltan del mondo. E dove ci sono bambini che muoiono, obbligati a lavorare in quei buchi pestiferi; dove imperversano camion che circolano sulle nostre strade con materiale tossico ed elicotteri che trasportano via quel materiale, preziosissimo per i bianchi e omicida per tanti africani. Riguardo al vaccino, nessuno pensa all’Africa, anche se l’Africa ha arricchito e continua ad arricchire tanti. I popoli africani accoglierebbero tale antivirus come una manna e a braccia aperte, senza tante discussioni, poiché l’uomo e la donna africani conoscono il valore della vita. Ringraziamo il buon Dio che, nella sua provvidenza, ha sinora preservato il Congo da quest’altro flagello. È un appello che lancio ai popoli europei: non dimenticate l’Africa ove vivono uomini e donne nostri fratelli e sorelle, figli e figlie del buon Dio, già provati da numerosi altri mali. La ringrazio, direttore, augurandole un felice nuovo anno 2021.
padre Giulio Simoncelli, saveriano. Kivu (Congo)


Lei ha ragione, gentile e caro padre Giulio. Su tutto, tranne che su un punto. L’Africa non è sfruttata e dimenticata da tutti. L’umanità, in ogni continente, non è tradita da tutti. La verità non è mistificata da tutti. Non dal Papa. Non da noi. Non da uomini e donne della vecchia Europa che credono e s’impegnano in modi anche molto diversi, ma hanno memoria e coscienza. Una stessa umile, dolente, indignata e civile coscienza del limite che dobbiamo riconoscere e del dovere che possiamo onorare insieme. Donne e uomini che hanno identica passione, e provano sete di verità e di giustizia, che hanno giudizio e amore sufficienti per non chiudere occhi e cuore. E proprio adesso, proprio qui, in questa ora difficile, in cui nel mondo che si giudicava salvo e ancora si pensa evoluto e sapiente i ciechi credono di vedere e quelli che hanno solo parole vuote osano gridare, bestemmiano la vita e la solidarietà, che è reciproca inesorabile responsabilità. Uomini e donne che di fronte alla rivelazione della nostra comune vulnerabilità, resa chiara dalla pandemia e dall’affannata ricerca della “vita di prima”, non si rassegnano a blaterare di complotto, di finzione, di dramma a orologeria e riescono a scorgere e da denunciare l’enormità del male (e dell’inerzia complice col male) che si è insediato da tempo nella vita del mondo e nella nostra stessa anima.
Lei ha ragione, caro amico, ha tutte le ragioni, tutti i sentimenti e tutti i gioiosi doveri che da più di mezzo secolo la “costringono” lontano dai lockdown della cupidigia e del potere, della sicurezza e dei falsi diritti. Che la rendono davvero padre e fratello tra gli esseri umani che hanno maledizioni nere da capovolgere e ladrocini da sventare. Che la designano, in forza della sua libera e cristiana accettazione, dirimpettaio disarmato e indomabile di coloro che si sentono già salvati e hanno maschere d’occasione e mascherine multicolori da indossare. Che la confermano compagno di strada di tutti gli “altri”, quelli che non credono a leggende e mulini bianchi e a ruoli da difendere, acquistare e replicare anche solo con un gioco di pollici sulla tastiera di uno smartphone che esiste e funziona grazie al minerale battezzato Coltan, strappato alle viscere del Congo. Cioè della terra insanguinata, depredata eppure madre, dove lei ha seguito Cristo per seminare il Vangelo della salvezza e far germogliare i giorni del giudizio, cioè della dignità assoluta dei poveri, i gemelli dell’Unigenito.
Voglio perciò dirle, caro padre Giulio, che quando sarà il mio turno mi vaccinerò dal Covid. E che non lo farò per calcolo e solo per me stesso. E che prima e dopo quel momento continuerò, con i miei colleghi e le mie colleghe, a scrivere, a battermi e a pregare Dio affinché coloro che mancano di pane e acqua e che non hanno passaporti, occasioni e vaccino siano liberi di averne. Lo farò perché proprio questo vaccino sia una porta, su un tempo nuovo, e non un pretesto e un alibi. Lo farò perché non si sciupa la grazia di Dio, e l’intelligenza degli scienziati è grazia, e perché la pandemia che ci rintana e gli uni gli altri ci allontana – e che non è solo di coronavirus – venga sconfitta. È questo l’augurio che mi avventuro a restituirle, con immensa gratitudine. E questo l’augurio che oggi, al limitare del 2020 e all’alba del 2021, vorrei saper consegnare, con lei, a quanti ci leggono. Facciamo dell’anno che viene un tempo buono e più giusto. Facciamolo per davvero.

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