giovedì 12 giugno 2014
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​La proposta di introdurre anche in Italia un "buono" per pagare colf, baby-sitter, badanti, asili nido e vari altri servizi alla persona e alla famiglia, beneficiando di un rimborso fiscale del 33%, è una di quelle riforme capaci di trasformare nel giro di pochi anni vita e abitudini di una larga fetta della popolazione, oltre che la struttura del sistema di welfare. Molte famiglie incomincerebbero a far emergere i piccoli pagamenti a chi presta servizi di cura o assistenza, tante persone potrebbero trovare un’occupazione in un mercato in espansione, altre ancora, in particolare le donne, avrebbero un incentivo a cercare un impiego diverso liberandosi dai carichi domestici per affidarli a soggetti professionali.È una piccola rivoluzione ciò che promette di realizzare la proposta di legge sui "voucher" per i servizi di welfare presentata ieri da un nutrito numero di parlamentari di diversi schieramenti. Gli effetti di questa ennesima possibile "svolta buona" vanno però oltre le ricadute pratiche, anche per il contesto politico nel quale, come altre proposte, è maturata. Una prima considerazione riguarda la trasformazione del pianeta dei servizi di welfare e alla persona verso un modello che introduce la libertà di scelta, che riconosce in modo strutturato e trasparente il ruolo "pubblico" del privato sociale, che coinvolge più soggetti nella programmazione e nell’erogazione delle prestazioni. A tanti la parola "voucher" fa ancora paura, perché nei fatti mette in discussione il monopolio statale dei servizi. Ma è un timore infondato se si ha la capacità di osservare ciò che avviene, di prassi, già in molte realtà o in altri Paesi.Su questi temi la trasversalità è un’esperienza consolidata in Parlamento e si è espressa in questi anni nella pratica dell’Intergruppo per la Sussidiarietà. Tuttavia non può sfuggire come sia in questa fase che tale esperienza sembra produrre i frutti più maturi. E qui veniamo alla seconda considerazione, di carattere politico. Giusto in questi giorni in Senato è stato depositato un disegno di legge che delega il governo a riformare il sistema dei sostegni per i figli a carico, puntando all’introduzione di un assegno universale più equo e generoso dell’attuale sistema di detrazioni e assegni. Il ddl è firmato da 50 senatori Pd più altri di Scelta Civica e Popolari per l’Italia. E ci sono una quarantina di senatori Pd anche dietro al disegno di legge – rafforzato da due testi della Lega Nord – quasi pronto per andare in aula, che punta ad aumentare le risorse a favore di asili nido e scuole dell’infanzia, introducendo il concetto che debbano spettare di diritto.Forse è presto per parlare di "aria nuova" in Parlamento in tema di sostegni alla famiglia, ai figli, di economia civile e sussidiarietà. Ma di certo oggi, pur se vi sono anche iniziative che vanno in direzione diversa, per non dire contraria, molto si sta muovendo lungo questa buona strada. Lo si deve alla sensibilità di più forze politiche, basti solo ricordare la richiesta del Nuovo centro destra di estendere il bonus di 80 euro a un numero più alto di famiglie numerose, accolta dal governo, ma rinviata al 2015. Tuttavia è un dato evidente che il motore di tanta iniziativa si trovi nel partito del premier Matteo Renzi, e che lo si debba a più aree o anime di quella forza. È come se la maggiore forza della sinistra si fosse liberata di colpo dal coperchio delle stanche (e persino capricciose) rivendicazioni élitarie e salottiere, lasciando emergere in superficie quelle molte istanze più popolari (verrebbe da dire letteralmente proletarie) e connesse con la dimensione della società civile autentica. Un’identità e un’attenzione che ci si era dimenticati potessero appartenere anche alla sinistra. In realtà, ragionare di investimenti, e non solo di spese, a proposito di famiglia, bambini, cura, assistenza, educazione e Terzo settore, non è collocarsi a destra, a sinistra o al centro di un panorama politico. È, invece, individuare una lista di temi di grande e concreto interesse nazionale e su questi costruire un’identità e un’appartenenza comuni. Parlando finalmente una lingua che la nostra gente conosce e capisce bene.
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