venerdì 19 aprile 2013
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​I teorici del rigore di per sé espansivo, dei sacrifici che automaticamente fanno ripartire la crescita, che tanto seguito hanno avuto non solo in Germania ma anche nel nostro Paese, non stanno avendo negli ultimi tempi vita facile. Non solo perché le evidenze empiriche tendono testardamente a produrre risultati contrari alle loro teorie (negli Stati Uniti come nell’Unione Europea), ma anche perché nuovi studi empirici confutano in modo piuttosto clamoroso alcune delle loro conclusioni enfaticamente presentate come "fatti stilizzati", ovvero come evidenze valide e rilevanti nello spazio e nel tempo. Prima, uno studio del Fondo monetario internazionale che documenta come gli effetti moltiplicativi della spesa pubblica siano superiori a uno, ovvero producano effetti espansivi (mentre i suoi vertici ora sottolineano i guasti dell’iper-rigore). Poi, un lavoro di ricerca pubblicato qualche giorno fa da tre studiosi americani (Herdon, Ash e Pollin) che confuta radicalmente i risultati di due guru del rigore come Reihnard e Rogoff e la loro conclusione che un rapporto debito/Pil superiore al 90% produce mediamente effetti recessivi (riduzione invece che aumento del Pil). Dati alla mano i tre autori dimostrano che le conclusioni di Reihnard e Rogoff dipendono da errori di imputazione sui fogli elettronici su cui sono stati condotti i calcoli ed esclusione di Paesi che sarebbero dovuti essere nel campione. Arrivando alla conclusione opposta che i Paesi con rapporto debito/Pil sopra il 90% hanno un tasso medio di crescita del 2,2% invece che negativo.Al di là del fideismo dei non addetti ai lavori nei risultati limitati e fallibili di singoli lavori scientifici (difficilmente robusti nel tempo e nello spazio e dipendenti dalle tecniche utilizzate) l’evidenza dei fatti e i nuovi lavori di ricerca fanno crescere i dubbi sulla ragionevolezza della teoria del rigorismo di per sé espansivo. Indicazione preziosa per il bene comune o solo manna per i creditori dei Paesi indebitati? O maledizione persino per loro, visto che i rapporti debito/Pil di Paesi come il nostro, oggi modello nel rigore, peggiorano invece che migliorare, perché – proprio come nel celebre paradosso di Achille e la tartaruga – ogni sforzo per ridurre il rapporto debito/Pil attraverso il rigore riduce il Pil più del debito non facendoci mai raggiungere l’obiettivo?Battaglia delle cifre a parte, i motivi della perplessità sono dovuti al fatto che il rigore espansivo fonda le proprie premesse su modelli palesemente lontani dalla realtà dei fatti e dai comportamenti delle persone in carne e ossa. Secondo questo approccio, cittadini ultrarazionali e senza vincoli di liquidità che osservano il governo migliorare il bilancio pubblico attraverso duri sacrifici "anticipano" che questo porterà nel futuro a ridurre le tasse e quindi, anticipando la loro futura maggiore ricchezza, iniziano a consumare di più già da oggi. Provate a spiegarlo agli italiani in difficoltà col bilancio e vedrete la reazione: come facciamo a consumare di più oggi se non abbiamo soldi in tasca e se le banche non ci fanno credito?I dati Istat riportati dai saggi nel loro rapporto a Napolitano (li pubblichiamo a corredo di questo articolo a pagina 2) confermano l’assurdità di questo ragionamento. Nel corso dell’ultimo anno l’export delle imprese italiane ha prodotto un effetto positivo di circa due punti percentuali sulla crescita controbilanciato da uno negativo di quasi 4 punti percentuali determinato proprio dal crollo dei consumi interni. L’aumento dei consumi dei cittadini previsto dal modello non è avvenuto. Anzi il crollo del contributo della domanda interna al Pil prodotto dall’aggiustamento (anche rispetto all’anno precedente) è stato il principale responsabile della recessione.È bene non cadere nell’errore di cogliere la disgrazia dei teorici del rigorismo espansivo per precipitare nell’errore opposto della spesa pubblica incontrollata. Non è questo il punto. Quello di cui abbiamo bisogno è un equilibrio complessivo di iniziative che metta tutto al giusto posto. Primo, una riforma dei mercati finanziari per evitare il rischio di altri cataclismi come quello da cui tutto ha preso il via (e di altri casi come quello di Mps, che vanificano gli sforzi di risanamento effettuati).
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