giovedì 28 ottobre 2010
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Strano tempo, il nostro. Da una parte si vuole destrutturare ogni istanza pedagogica, arrivando a teorizzare che l’educazione è una missione impossibile, che ogni forma di disciplina familiare e scolastica è repressiva, che mai e poi mai bisogna forzare la spontaneità infantile e adolescenziale e che le stesse materie di insegnamento veicolano contenuti necessariamente arbitrari e ideologici. Dall’altra si prende atto con sconforto, se non con angoscia, che la crisi valoriale sta dilagando, che vengono progressivamente meno sentimenti e valori condivisi tra le generazioni, che cresce il degrado delle istituzioni scolastiche e universitarie e aumenta la disaffezione dei docenti all’insegnamento. L’urgenza di fronteggiare una tale situazione schizofrenica è avvertita da tutti, ma è paralizzata dall’idea che quello di una "vita buona" sia un ideale irrealizzabile, o, peggio ancora, che non esista un unico, vero modello di vita buona da proporre pedagogicamente alle nuove generazioni.È in questa chiave che vanno letti e meditati gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 che vengono proposti all’attenzione di tutti dalla Conferenza episcopale italiana e attraverso i quali la Cei risponde con parole di impegno e di speranza a una situazione che molti qualificano ormai come disperata. Orientamenti pensati per un decennio di intenso lavoro: un programma già solo per questo coraggioso, perché rinuncia a ipotizzare interventi di breve periodo, per una questione così incancrenita e che solo in periodi medi e lunghi si può sperare che venga adeguatamente fronteggiata. Quello della Cei è un programma intelligente e realistico, sotto diversi profili. In primo luogo perché è offerto all’attenzione di tutti e non solo dei credenti, nella convinzione che il problema educativo non sia un problema strettamente confessionale, ma antropologico, nel senso più ampio del termine e tale quindi da coinvolgere tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti. In secondo luogo perché percepisce la piena corrispondenza che esiste tra relazione generativa e relazione educativa: solo una società che sa dare valore alla generatività ed è capace di dire di sì alla vita può trovare in se stessa la forza necessaria per educare le nuove generazioni. In terzo luogo perché ribadisce come la buona novella evangelica sia intrinsecamente pedagogica e come non sia lecito né "imporla" al mondo (secondo l’eterna tentazione fondamentalistica), né "adattarla" al mondo (secondo la più recente, ma comunque ormai radicata, tentazione modernista): bisogna piuttosto (per usare le parole del Papa) attingere al Vangelo la capacità di comprendere il mondo (e soprattutto quello attuale) tenendo nel giusto equilibrio le istanze del passato e le esigenze del futuro. Colui che "fa nuove tutte le cose" non agisce distruggendo il bene passato, ma dandogli nuova linfa vitale, trasfigurandolo. Questa è, in buona sostanza, l’unica forma di impegno educativo che abbia un senso e che giustifichi quella passione per l’educazione che induce tanti a ritenere che la vocazione educativa sia la più bella del mondo.Anche sotto un altro profilo gli Orientamenti pastorali sono coraggiosi, nel ribadire come la trasmissione della fede sia parte irrinunciabile della formazione integrale della persona. Qualche laicista sciocco penserà che in tal modo la Chiesa altro non faccia che tornare a legittimare se stessa come "agenzia educativa fondamentale". Anche se questo retropensiero fosse presente (ma non c’è) negli Orientamenti pastorali, la questione è un’altra. Tramontata l’illusione che la fede religiosa sia un’esigenza premoderna, destinata a dissolversi in un mondo globalizzato e tecnicizzato, resta come punto fermo che la vocazione alla realizzazione di un bene trascendente e assoluto, che caratterizza ogni fede, se non viene presentata, offerta, spiegata ai giovani può gravemente alterarsi e deformarsi in mille forme, da quelle semplicemente stravaganti a quelle più gravemente aberranti. L’educazione pubblica, nei sistemi pluralistici moderni, non può certamente avere carattere confessionale, ma non può nemmeno ignorare la vocazione per la verità del bene che è presente in ogni uomo, fin dalla sua infanzia. Rispettare e orientare questa vocazione, perché si ponga al servizio del bene umano universale, ripudiando la tentazione del relativismo, è la parte più complessa di ogni progetto educativo, ma ne è anche una parte irrinunciabile.Per riprendere alcune tra le più belle espressioni del documento della Cei, tra chi annuncia la buona novella e chi educa «c’è la medesima sollecitudine verso la persona, c’è un’analoga volontà di farsene con amore e premura costante, perché sboccino, nella libertà, tutte le sue potenzialità».
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