Da quanto dura la «guerra del terrore» e il cinico mercato che la alimenta
giovedì 23 giugno 2016
Gentile direttore,mi ha colpito che, a proposito della minaccia terroristica che continua a gravare sulla Francia, il primo ministro francese Manuel Valls abbia sostenuto che ci troviamo nel mezzo di «una guerra che durerà una generazione». Vedo poi su tutti i giornali si parla molto delle attività antiterroristiche in Francia e Belgio, altro Paese coinvolto/sconvolto dagli attacchi jihadisti, e ovviamente non si trascura nemmeno l’Italia... Ma perché nessuno dei signori che si sono presi l’onere di governare i nostri Paesi parla mai della lotta all’esportazione di armi? Secodo l’antiterrorismo belga (cito pagine di “Avvenire”) «Combattenti di Daesh-Isis (…) viaggeranno (...) alla volta del Belgio e in Francia, per commettere attentati (...) queste persone sono già in possesso delle armi necessarie». Da dove vengono queste armi? Molte volte dalla nostra stessa Europa. E cosa fanno i nostri governanti per fermarne il traffico? Perché mai nessuna delle persone che hanno il dovere di difendere gli Stati di cui sono a capo parla di questo? Forse perché il benedetto Pil, eretto ormai a misura di tutto, scenderebbe troppo se fermassimo questo flusso di armi? Non serve a niente piangere le vittime di azioni scellerate e fare dichiarazioni choc ai mass media: occorrono azioni vere, che non sono solo fermare l’attentatore, ma andare alle radici del terrorismo. Cosa sicuramente molto più faticosa, ma con risultati più certi e duraturi. Ora, invece, si fomenta soprattutto la paura dell’altro (arriveranno con i barconi...), che, come un cane che si morde la coda, rende difficile l’accoglienza, impedisce l’integrazione e così via, fino a creare persone nate in occidente che odiano l’occidente. Possibile che queste cose, così chiare a chi, come me, di politica internazionale capisce molto poco, non siano chiare ai nostri governanti?

Miriam Valentini



Posso dire che la battuta del capo del governo francese mi sembra ovvia? Terribilmente ovvia? Questa guerra che chiamiamo terroristica dura già da una generazione, se ancora contiamo le generazioni con il vecchio e sempre utile metro dei 25-30 anni. Con un aspro prologo nel 1986 (in terra francese) e senza tregua dal 1991 (in Algeria e con la prima Guerra del Golfo) sino a oggi, è assai lunga la scia di dolore, terrore e sangue che a intermittenza feroce ci interroga e incrina la falsa idea per cui "se io sono in pace, il mondo è in pace". Forse però certi politici (almeno in pubblico) pensano gli eventi che dovrebbero governare solo dal momento presente in avanti. Questo, per me, è il contenuto choc della battuta di Valls che parla al futuro e sembra dimenticare e archiviare tanta ingiustizia, tanta sofferenza e un’infinità di vittime. E quando si dimentica e si archivia il male, il male si ripete e si ripete ancora. Ecco perché penso che su domande consapevoli e scomode come quelle che lei ripropone, gentile e cara signora Valentini, bisognerebbe finalmente concentrarsi con intensità e continuità. Sono le domande che sulle nostre pagine condividiamo da anni con chi ci legge, interrogando senza tregua "decisori" e "legislatori". Soprattutto, però, sono le domande che papa Francesco rivolge incessantemente, come già i suoi grandi predecessori, non soltanto al popolo cristiano, ma a tutti gli uomini di buona volontà che costituiscono l’opinione pubblica mondiale e, in modo particolare, a coloro che hanno potere politico, economico e tecnoscientifico. Il Papa chiede di aprire davvero gli occhi sull’immenso e vergognoso «mercato delle armi», un mercato redditizio in termini di denaro e di dominio, che accende e perpetua la «guerra mondiale combattuta a pezzi» e aiuta a capire come mai si sviluppano sotto i nostri occhi operazioni politiche e militari che altrimenti risulterebbero del tutto inspiegabili e persino inconcepibili per il cinismo che le caratterizza e la disumanità che propiziano, manifestano e realizzano. E di queste «operazioni», mi pare necessario sottolinearlo ancora una volta con grande amarezza, sono responsabili sia autocrati od oligarchi senza scrupoli sia governi di grandi democrazie. Emblematico e scandaloso, in questo senso, il "caso Siria" o "caso Siraq", come scriviamo spesso, mettendo insieme le tragiche realtà di quei due Stati del Vicino Oriente (la Siria e l’Iraq) e dei loro popoli travolti da guerre che la storia non classificherà di certo come frutto di autocombustione. Scandaloso anche per la vasta indifferenza che circonda quel dramma ed è frutto di cieco egoismo tanto quanto di informazioni mancanti o addomesticate. Per questo le essenziali domande sulla pace e sulla guerra che lei, gentile amica, torna a formulare con passione, ancora oggi trovano poco ascolto e ottengono risposte quasi solo evasive. Eppure basterebbe affidarsi alla buona vecchia saggezza popolare frutto dell’esperienza e del senso del bene: quando il fuoco corre e distrugge, bisogna lavorare per circoscrivere e spegnere le fiamme e bisogna fare di tutto per non alimentarle. Elementare. Come il diritto di ogni uomo e ogni donna a non dover migrare per forza e a vivere in pace, sicurezza e libertà nella propria patria, parte della «casa comune» che chiamiamo Terra.

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