mercoledì 24 luglio 2013
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«Non ho né argento né oro, vi porto quello che ho: Gesù Cristo». Ascolti il Papa, e gli occhi si riempiono di lacrime. Dal Santo Padre impariamo ad amare Gesù, a essergli sempre più intimi, a spendere per Lui la nostra vita. Uno è il Signore, uno lo Spirito, tanti i modi di vivere di Lui e per Lui. Ieri, il ministro per le Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, ha accolto il nostro invito ed è venuta in parrocchia. Nonostante l’ora – erano quasi le 12 – la chiesa era gremita. Ha ascoltato con attenzione le nostre lamentele, le nostre paure, le nostre speranze. Le campagne di Caivano, la cittadina nel Napoletano in cui sono parroco, sotto i picconi del Corpo forestale, stanno vomitando veleni di ogni tipo. Da quando tempo quelle sostanze giacevano in quelle profondità? Chi le ha sversate? Terreni inquinati non potevano che produrre frutta e ortaggi avvelenati, sicché sono stati messi sotto sequestro.La signora ministro, dopo l’incontro in parrocchia, ha voluto essere accompagnata in quelle contrade. Appena cinque minuti di automobile e ci siamo immersi nella polvere soffocante nell’ora più calda di una giornata afosa. Il Comandante consiglia di indossare la mascherina. Ci chiniamo sulle buche. Uno scempio. Tutti sono preoccupati. Si capisce sempre di più che questo dramma immenso non riguarda solo noi ma le future generazioni. Che non sarà facile porvi rimedio in breve tempo. Si lavora. Con perseveranza. Si lavora insieme. Ognuno deve mettere a disposizione quello che ha. La Chiesa fa la sua parte. Principale obiettivo è l’uomo. Che non venga ancora maltrattato. Che non venga più strumentalizzato. Che non venga venduto alla logica dell’avere e del potere. L’uomo, che anche solo vivendo, già dà gloria a Dio. Il nostro impegno per la terra offesa, umiliata, maltrattata trae origine da qui. Siamo cristiani, cioè di Cristo. Innamorati di Cristo. Desiderosi di seguire e servire Cristo. Cristo, che adoriamo nel Pane bianco sull’Altare, e il Cristo che incontriamo nascosto nei fratelli. Cristo, ieri, oggi e sempre. A Francesco d’Assisi, bastava solo farfugliarne il nome e, dalla dolcezza, sentiva il bisogno di leccarsi le labbra. E correva a gettarsi ai piedi dei lebbrosi perché tanta grazia non gli facesse scoppiare il cuore. E li curava. E li baciava. Perché in quei corpi martoriati, ritrovava l’amore di tutta la sua vita: Cristo.In campagna, dunque. Tra forze dell’Ordine, giornalisti, politici e gente comune ci sono anche i contadini. Poveretti, non lo sanno, ma da sempre stiamo pensando a loro. Questa assurda, dolorosissima situazione in cui versiamo, si è abbattuta su di loro come una mannaia. Hanno i campi sequestrati. Non possono seminare, né raccogliere gli ortaggi già maturi. «Hanno bisogno di essere tutelati», avevo chiesto al ministro poco prima. Tutti devono essere tutelati. In particolare i bambini. Non possono, non debbono pagare per i peccati altrui. Per gli altrui egoismi. Purtroppo i contadini, nella loro disperazione, se la prendono con me. È con il prete che ce l’hanno. Non con il ministro, nemmeno con il generale del Corpo forestale, ma con il prete, tanto che qualcuno sbotta: «Ognuno faccia il suo mestiere. Il prete faccia il prete… Chissà perché stai facendo tanto baccano…». La risposta è più semplice di quanto si possa credere: l’amore di Cristo ci costringe. Abbiamo a cuore il riscatto della nostra terra. Non possiamo non sentire il grido della povera gente, delusa, tradita, condannata a morte. Ci siete cari. Tutti. A cominciare dai contadini con i terreni sequestrati. Scendere in campo e sporcarsi le mani non è più facoltativo, ma obbligatorio. Se non lo facessimo, peccheremmo non solo di omissioni ma di vera e propria complicità con il male.
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