venerdì 19 luglio 2013
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Gentile direttore,
una certa allegra pastorale postconciliare ha prodotto (non da sola) o almeno non ha contrastato efficacemente indecenza, turpiloquio, volgarità, forte diminuzione della pratica religiosa e delle vocazioni speciali, infedeltà coniugali, trionfo della satira sbracata, eros e violenza perfino nei film religiosi, un carnaio balneare sempre più nudo... Un’educazione senza il timor di Dio ha portato a una fede poco convinta e poco impegnata. Oggi vestono “sexy” anche le “figlie di Maria” e la moda ignobile trionfa nelle strade, nelle scuole, negli uffici, perfino nelle chiese e nei santuari. Se non riportiamo i cattolici in chiesa e a una vita morale decente, maciniamo aria. I soloni della teologia morale, della sociologia e dei media hanno disorientato preti e laici. Per paura del cosiddetto moralismo si predica poco la morale e la Confessione è all’acqua di rose. La morale cristiana è una morale severa; è la morale del sì e del no, e richiede un’educazione severa. La crisi della famiglia non si risolve con le dichiarazioni di nullità facili, col femminismo o con le “carezze” ai separati riaccompagnati o risposati. So che queste idee non piacciono a molti, ma bisogna ubbidire a Dio prima che agli uomini.
Luciano Canini, Rimini
Potrei cavarmela con una battuta, gentile signor Canini: non sapevo che i padri conciliari fossero i “gendarmi” della fede e della morale cattolica... Fuor di battuta, so che di fede e morale il Concilio Vaticano II è stato il custode attento: attento a ciò che è essenziale per noi cristiani e per l’umanità tutta e attento ai «segni dei tempi». Detto questo, è vero che lei pone – con passione anche ruvida – problemi molto seri. Insisto perciò sulla immagine dei “gendarmi” (che in sé, preciso, considero comunque positiva, perché sono coloro che impediscono che il mondo sia controllato dai “bravi”, dagli scherani dei potenti di turno...) e su quella dei “custodi”. Mi è stato insegnato – e per quanto posso, sbagliando e correggendomi, cerco di viverlo – che la nostra fede e la morale che da essa prende forza per essere autentiche non possono mai diventare puro e formale abito o soltanto un arcigno sistema di regole, ma non possono e non devono neppure trasformarsi in un’eco lontana e disincarnata nella nostra esistenza. Il punto siamo noi, ognuno di noi, caro amico. Abbiamo bisogno di maestri (e di pastori), certo, e più ancora di testimoni credibili – come ci è stato mirabilmente insegnato da Paolo VI – eppure nessuno può fare il lavoro decisivo al posto nostro e nessuno può imporcelo, tantomeno qualche “gendarme”. Ognuno di noi è tenuto a fare la propria parte, a essere “custode” di sé, dei propri cari, dei propri fratelli e del “tesoro” che ci è stato dato e che non è solo nostro. Per riuscirci, come ci ha ricordato con dolce e forte parola Papa Francesco, non serve studiare e agire da “doganieri della Chiesa”, ma bisogna saper tenere aperte le porte del nostro cuore e delle nostre comunità cristiane. Per fare entrare Cristo e per farlo uscire fuori, nel mondo degli uomini e delle donne che si salvano e ritrovano la propria dignità soltanto nell’incontro con Lui.
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