martedì 8 ottobre 2013
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Il terreno resta minato e lo scenario difficile. Se qualcuno si era illuso che, superato lo scoglio della fiducia al governo Letta, la strada per il nostro Paese sarebbe stata in discesa o almeno più semplice, una serie di notizie e dati diffusi ieri costringe tutti a tornare con i piedi per terra. E soprattutto a concentrare gli sforzi, evitando sterili divisioni e la difesa di interessi particolari.Se l’utilizzo della cassa integrazione ordinaria risulta in lieve calo, infatti, il ricorso a quella straordinaria è in crescita, segnalando che l’emorragia di posti di lavoro non si è ancora fermata. Come dimostrano peraltro gli «8mila esuberi» annunciati dal Monte dei Paschi di Siena. La ripresa internazionale, d’altro canto, per il G20 resta «incerta e fragile», con l’incognita delle conseguenze della serrata governativa negli Usa. Non bastasse, il consuntivo delle entrate nei primi 8 mesi dell’anno registra la caduta degli incassi Iva (-5,2%), già prima dell’ultimo aumento.È in questo quadro, allora, che occorre collocare la discussione sulla legge di stabilità, iniziata ieri sera con un confronto a Palazzo Chigi tra il premier e i sindacati. Il governo sembra intenzionato a gettare il cuore oltre l’ostacolo, con un piano di riduzione delle imposte sul lavoro tra i 4 e i 5 miliardi, nuovi incentivi per l’occupazione, il ridisegno delle aliquote Iva e il definitivo approdo a una più leggera "Service tax", in sostituzione di Imu e Tares. Il tutto senza dimenticare la famiglia – per la quale si ipotizzano non meglio precisati sgravi fiscali legati al numero dei figli – e i più poveri, grazie all’introduzione di un primo modulo di quel "Sostegno d’inserimento attivo" messo a punto dal ministro Enrico Giovannini, anche su impulso di un’analoga proposta di Caritas e Acli.Cgil Cisl e Uil, ieri, hanno ribadito come la priorità vada assegnata agli sgravi sul lavoro, mostrando, con accenti diversi, perplessità rispetto alle altre misure e in particolare agli interventi anti-povertà, ai quali contrappongono l’esigenza di rifinanziare la cassa in deroga. La preoccupazione espressa dai sindacati non è senza fondamento, per più di una ragione. Anzitutto, la scarsità delle risorse complessive che il governo può realisticamente mettere in campo. C’è poi l’esigenza di concentrare le scelte in uno, massimo due ambiti, per evitare che i benefici derivanti risultino poco consistenti, rendendo di fatto inefficaci gli interventi stessi. Infine, ma non ultima, l’idea che il nuovo strumento di contrasto alla povertà finisca per diventare una nuova forma di assistenzialismo di Stato.Occorre però che al sindacato non facciano velo nella valutazione due atteggiamenti. Il timore di una perdita di ruolo (per la concessione della cassa integrazione è indispensabile un’intesa con le confederazioni, mentre per il reddito d’inserimento no). E la logica ancora fortemente "categoriale", che finisce per perpetuare le divisioni tra insider e outsider, tra tutelati e no, anche al di là delle effettive condizioni di bisogno. Per non cadere letteralmente in una "guerra tra poveri" occorre infatti allargare lo sguardo alle tante situazioni di bisogno che spesso prescindono persino dalla perdita del posto di lavoro. Chi infatti va considerato più "povero", e dunque bisognoso di un intervento pubblico, tra un operaio di una piccola impresa in temporanea difficoltà e un padre di famiglia disoccupato ormai da anni? E quale peso dovrebbe essere assegnato, nella valutazione degli interventi, ai diversi carichi familiari? Gli studi dimostrano infatti con chiarezza come il rischio di cadere in povertà aumenti fortemente al crescere del numero dei figli, perfino a prescindere dalla condizione di occupato o disoccupato del capofamiglia.Quanto al rischio di assistenzialismo, che pure esiste, occorre puntare su controlli efficaci e interventi di accompagnamento delle persone, considerando che qualche furbo ci sarà sempre, come pure chi, nonostante i migliori interventi, resterà "non inseribile" nel mondo del lavoro. Ma non per questo possiamo pensare di abbandonare al loro destino 5 milioni di italiani – adulti e bambini – che oggi vivono in condizione di povertà assoluta. E proprio il quadro economico ancora così incerto obbliga a prendere di petto l’emergenza-lavoro, e a cominciare – con coraggio ed equità, tutti assieme – a costruire il rilancio del Paese a partire dai più deboli.
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