lunedì 27 agosto 2012
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​L’annuncio di un nuovo concorso per l’insegnamento (sono previsti circa 12mila posti) è un fatto molto importante. Era dal 1999 che non si bandiva un concorso ordinario. Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ci teneva ed è riuscito a spuntarla, superando le resistenze e i malumori di una parte delle forze politiche che sostengono il governo e anche quelle dei sindacati. La preoccupazione di costoro, comprensibile e più che legittima, riguarda la sorte dei cosiddetti "precari storici". C’è, infatti, la fila di coloro che si sono abilitati nelle Ssis (le scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario), i docenti inseriti nelle graduatorie permanenti, molti dei quali aspettano ancora il contratto a tempo indeterminato. Inoltre, negli ultimi anni, per effetto della riduzione del monte ore settimanale di insegnamento e dell’aumento del numero di alunni per classe, deciso dal precedente esecutivo con l’obiettivo di contenere la spesa, si è avuta una riduzione del numero dei docenti in organico. Così molti insegnanti già di ruolo sono diventati soprannumerari. Dunque, si obietta, con tutta questa gente da "sistemare", c’era proprio bisogno di bandire un nuovo concorso? Il ministro è stato però lungimirante. Da uomo di scuola, sa che perché questa funzioni al meglio, è necessario non rinunciare alle forze più fresche della società. Cioè ai giovani. Sappiamo che il picco di produttività dei ricercatori si colloca tra i 20 e i 40 anni d’età. Le energie, l’entusiasmo, la forza propositiva che si hanno in questa fase della vita non si conservano all’infinito. Dopo si svilupperanno altre qualità: l’esperienza, la pazienza, una più ampia capacità di comprensione dei problemi. La stessa cosa avviene nell’insegnamento. Una professione in cui si ha a che fare con il "nuovo" per eccellenza, bambini e ragazzi. Uno dei problemi della scuola italiana di oggi è che l’età media dei suoi docenti è tra le più alte in Europa. In un liceo di qualsiasi città italiana trovare un professore che abbia meno di quarant’anni è un’impresa. E questa è una situazione che si è prodotta, diciamo, negli ultimi 10-15 anni. Prima non era mai stato così: i concorsi si espletavano periodicamente e andavano tranquillamente in cattedra neolaureati di 23-24 anni. Ebbene, il governo ha capito che non è possibile "saltare" una generazione di aspiranti insegnanti. Che è necessario, anzi indispensabile, immettere nella scuola energie fresche, offrendo la possibilità ai laureati migliori, più preparati, più motivati, di mettersi alla prova, di cimentarsi sul campo. Rimangono però alcuni nodi da sciogliere. Primo: bisogna contemperare questa giusta decisione di bandire un nuovo concorso con il diritto al lavoro di chi da anni copre i posti liberi in organico, cioè i precari. Che, ricordiamolo, non sono insegnanti di serie B. Anzi, sono spesso dei professionisti di ottimo livello. Alcuni vantano, oltre all’esperienza pluriennale nelle classi, master, dottorati e altri titoli culturali ben superiori a quelli richiesti per il posto che ricoprono. L’immissione in ruolo è una tappa fondamentale nella carriera di ogni insegnante. Significa, magari dopo molti anni di supplenze e precariato, un adeguato riconoscimento del proprio status professionale. Significa poter costruire un percorso di continuità didattica, per più anni di seguito nella stessa scuola, con gli stessi ragazzi. E magari significa anche, come per qualsiasi altro lavoratore che giunga a un impiego stabile, la possibilità di mettere in cantiere progetti di lunga durata, ad esempio quello di formare una famiglia. Un secondo punto poco chiaro riguarda il futuro del Tfa, il "tirocinio formativo attivo", cioè il corso post lauream di durata annuale che conferisce l’abilitazione all’insegnamento, il cui primo ciclo sarebbe dovuto partire a settembre (i lettori ricorderanno, nelle scorse settimane, le polemiche relative alle prove di preselezione). Da quanto si è capito, il ministro vorrebbe che il superamento del concorso portasse direttamente all’immissione in ruolo (come avveniva nei vecchi concorsi ordinari), senza che sia necessario il prerequisito dell’abilitazione. Ebbene, chi invece ha sostenuto i test per frequentare il Tfa, che cosa dovrà fare in seguito per insegnare stabilmente? Dovrà comunque superare un concorso? Dubbi che speriamo verranno chiariti nei prossimi giorni. Per evitare di lasciare nell’incertezza migliaia di laureati.
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