domenica 10 maggio 2009
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Forza e fiducia. Ecco le parole che s’impongono alla mente dopo aver ascoltato il discorso che Benedetto XVI ha rivolto alle autorità giordane, e per il loro tramite ai musulmani del Medio Oriente, presso la grande moschea Al- Hussein Bin Talal. Non può sfuggire, infatti, che i passi salienti di questo intervento riprendono la linea di pensiero già tracciata il 12 settembre 2006 a Ratisbona, nella famosa lectio magistralis intitolata « Fede, ragione e università». Anche ad Amman c’è stata, nella giornata del Papa, un’università, quella di cui il Patriarcato latino ha posto la prima pietra a Madaba. Difficile che si tratti di pura coincidenza. In ogni caso, il ragionamento cominciato tre anni fa in Germania e concentrato sui rapporti tra fede e ragione, è proseguito con accresciuta efficacia in Giordania. « Dio agisce con logos » , disse nel 2006 il Pontefice, che aggiunse: «Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi... ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno d’amore in nostro favore». Ieri, sapendo di parlare a decine di milioni di musulmani che guardano con speranza a questo viaggio come pure a una minoranza di estremisti, Benedetto XVI ha riproposto con forza all’islam la ' sfida' fraterna del cristianesimo: «Coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana» . Della ragione, però, che non ha paura dello spirito religioso ( quella che assolutizza il finito ed eclissa l’infinito) ma che, al contrario, « spinge la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto», quindi anche a perseguire « tutto ciò che è giusto e retto», a servire «il bene comune», a rispettare la dignità dell’uomo che « dà origine ai diritti umani universali». Il Papa teologo sa benissimo quanto forte sia la pressione di un certo islam, minoritario ma radicale, in senso esattamente opposto, cioè per l’affermazione anche violenta di un Dio inconoscibile e remoto, in buona sostanza meritevole d’ubbidienza assai più che d’amore. Così come denuncia « la manipolazione ideologica della religione a scopi politici», fonte di tensioni e crudeli divisioni. Ma ciò che Benedetto XVI propone alla vasta riserva dell’islam moderato, riprendendo il tema della conciliazione tra fede e ragione nella ragione della fede, è ben più di una ' mano tesa', come pure hanno scritto i giornali. Siamo piuttosto alle soglie di un patto storico, che guarda al fondo comune dei due monoteismi ( « ... prender atto della presenza dell’Onnipotente, come pure per riconoscere che noi tutti siamo sue creature » ) e all’infinita razionalità e ragionevolezza della fede per superare incomprensioni e diffidenze reciproche. Benedetto XVI non accusa l’islam di aver mancato l’appuntamento con la modernità. Propone, piuttosto, di riprendere il cammino interrotto soprattutto negli ultimi tre secoli quando, per una serie di ragioni diverse e di responsabilità che non sempre ci appartengono, la stessa modernità che in Occidente metteva il tema religioso sempre più ai margini del discorso pubblico, si presentava in Oriente come una macchina portatrice di valori alieni ma capaci di scardinare i pilastri della società tradizionale. Riportare Dio al centro significa rinvigorire la ragione umana « nel nobile scopo di servire l’umanità... ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito».È un discorso dagli orizzonti larghissimi, sulla fede e sulla storia. Ma contiene un’idea di democrazia e di liberazione dell’individuo che a milioni di musulmani assetati dell’una e dell’altra non può passare inosservata.
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