giovedì 2 febbraio 2017
Cresce la fruizione: musei e siti fanno il pieno, boom per città d'arte e teatri
Visitatori alla «Domus Aurea» di Roma

Visitatori alla «Domus Aurea» di Roma

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In un periodo in cui le cronache sono costellate di segni 'meno', la cultura in Italia sta raccogliendo una delle sue stagioni più positive. Musei, teatro, musica: i grafici disegnano un paesaggio di picchi, sintomo di una fame nuova che non pare essere passeggera. Sembrano confermarlo i molti consuntivi pubblicati in questi giorni. Il più vistoso è quello dei musei e siti archeologici statali, 550 istituti che corrispondono a un decimo circa della realtà nazionale. Il 2016 ha segnato un record: 44,5 milioni di visitatori e incassi per 172 milioni di euro, incrementati rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015. Ma il balzo è ancora più significativo se si calcola che nel 2012 i visitatori erano stati 37,1 milioni e dieci anni fa 25 milioni. «Dati in netta controtendenza rispetto al contesto europeo, dove invece si registra un calo di visitatori nei musei», ha detto il ministro dei Beni e attività culturali e del turismo Dario Franceschini. Tra gli istituti gestiti direttamente dal Mibact ci sono balzi importanti, come quello di Venaria Reale, che è passata da 580mila a 1 milione di visitatori, ma anche crescite significative come gli scavi di Pompei, aumentati di 350mila unità nonostante le continue polemiche sulla conservazione, toccando così quota 3,2 milioni.

L’archeologia è trainante, confermando in qualche modo le ragioni per cui per secoli l’Italia è stato il paese del Grand Tour. Paestum ha sfiorato i 400mila visitatori, ma in generale la Campania è al secondo posto tra le regioni più visitate, con un +14,2% di ingressi rispetto al 2015, grazie anche agli exploit della Reggia di Caserta (+37%), dove Mauro Felicori si sta dimostrando direttore particolarmente energico, e Capodimonte (+33%). In cima restano il Colosseo e il Foro Romano, con 6,4 milioni di visitatori. Ma le performance segnalate dai musei statali nelle città d’arte principali sono solo la punta degli iceberg. I dati dei singoli centri evidenziano come i musei civici siano ancora più competitivi. A Bologna tra 2013 e 2015 sono cresciuti del 42%, contro il -1,1% degli statali. A Milano i musei del comune nel 2016 hanno superato gli 1,4 milioni di visitatori con un incremento rispetto all’anno precedente, ossia quello di Expo, del 2,5%. Un dato che consolida una tendenza: in poco meno di un decennio i visitatori dei musei milanesi sono raddoppiati. Il boom coinvolge anche i centri minori. Villa Ruffolo a Ravello, ad esempio, ha avuto 272mila visitatori paganti. A Mantova Palazzo ducale è passato da 243mila a 363mila visitatori, grazie al cono di luce generato dalla nomina a Capitale italiana della cultura. Un effetto di cui sembra già godere Pistoia, capitale per il 2017: nelle festività natalizie i musei cittadini hanno visto crescere i visitatori del 70%. Il lavoro compiuto su Matera Capitale europea della cultura 2019 ha creato un effetto volano, con flussi turistici aumentati del 140%, segno che il patrimonio italiano ha bisogno di politiche ben orchestrate di valorizzazione, da solo - per quanto di bellezza incomparabile - non basta. Una indicazione importante per risolvere il fatto che la maggior parte dei flussi siano concentrati in cinque regioni (Lazio, Campania, Toscana, Piemonte, Lombardia). Ma la sfida è anche stabilizzare e gestire i flussi in modo sostenibile e attento alla peculiarità dei siti.

Anche sul fronte dello spettacolo i segni sono positivi. Nel primo semestre del 2016 (dati Siae) il teatro ha visto il suo volume d’affari crescere del 17,03%, seguito dal cinema (+14,88%) e dai concerti (+5,18%). Rispetto allo stesso periodo del 2015, la Siae ha registrato un aumento generale del numero degli spettacoli e degli ingressi, rispettivamente +2,47% e +7,69%. Gli italiani hanno speso il 4,59% in più rispetto all’anno precedente mentre il prezzo medio dei biglietti è leggermente calato. In generale, tra 2013 e 2015 la fruizione museale degli italiani è aumentata del 18%, quella di teatro e cinema dell’8%, la partecipazione ai concerti dell’11%. Scende, soprattutto, il dato sull’astensione culturale: la quota di cittadini che in un anno non hanno fruito di nessuna occasione culturale è scesa dal 19,3% al 18,5%. Le ombre non mancano. Se dopo anni di tagli le risorse del Mibact sono cresciute a oltre due miliardi nel 2016, le amministrazioni locali (ma gli ultimi dati disponibili sono del 2014) hanno tagliato alla voce cultura: i comuni hanno decurtato il bilancio del 2,9% (ma nel Centro sono arrivati all’11%), mentre in un decennio i fondi sono crollati del 26%.

Sull’altro fronte, la spesa in cultura e ricreazione delle famiglie italiane (dati Federculture) nel 2015 è stata di 67 miliardi e 806 milioni di euro (+4% rispetto al 2014), ma è ancora lontana dai picchi del 2011, quando superò i 72 miliardi. Rispetto all’Europa nel 2014 (ultimi dati disponibili), gli italiani erano tra i meno propensi alla spesa culturale, che incideva per il 6,6% sulla spesa familiare totale rispetto all’8,6% della media Ue e l’11% della Svezia, in cima alla classifica. Gli ultimi due anni, però, potrebbero riservare sorprese. A livello territoriale, poi, si evidenzia il divario tra Nord e Sud: se la spesa media mensile in cultura delle famiglie italiane è di 126,41 euro, gli estremi sono i 200 euro di Trentino Alto Adige e i 59 della Calabria. In generale, però, il trend è positivo. È però un fatto che proprio le regione meridionali siano quelle in cui la spesa culturale cresce di più, con la Sicilia, Sardegna e Campania che raddoppiano la loro quota. Sebbene sembri talvolta sfuggire alle amministrazioni locali, tutto questo ha un risvolto economico. Quella dei beni culturali come petrolio italiano è una metafora certo efficace, ma fare della cultura un giacimento da sfruttare rischia di essere riduttivo e pericoloso. I dati rivelano come la cultura sia davvero fattore di crescita quando si fa motore di creatività.

Al sistema produttivo culturale e creativo (vale a dire industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico, arti performative e arti visive, produzioni basate su processi creativi), secondo i dati del rapporto 'Io sono cultura 2016' di Fondazione Symbola e Unioncamere, si deve il 6,1% della ricchezza prodotta in Italia: 89,7 miliardi di euro, un dato in crescita rispetto al 2015. Non solo. La cultura ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori, specialmente nel turismo, comparto in crescita (grazie anche al fatto che il nostro Paese è percepito come più sicuro rispetto ad altre mete) attivato dalla proposta culturale per un terzo, fetta in vistosa espansione specie nelle presenze dall’estero. Gli 89,7 miliardi, quindi, ne 'generano' altri 160,1. L’intera filiera culturale produce dunque 249,8 miliardi, il 17% del valore aggiunto nazionale. E a livello locale l’impatto della cultura sul resto dell’economia può essere ancora più elevato, come ha dimostrato una ricerca Nomisma su Bologna, che ha stimato l’effetto moltiplicatore pari a 2,2. Infine, il sistema produttivo culturale da solo (senza considerare quindi i posti di lavoro attivati come indotto) dà lavoro in Italia a 1,5 milioni di persone, il 6,1% del totale degli occupati in Italia. La nuova fame di cultura può dunque nutrire, in molti sensi, la crescita del Paese.

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