martedì 27 agosto 2013
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«Every drop counts» (ogni goccia conta) è il messaggio che una nota catena di alberghi trasmette in bella evidenza ai suoi clienti quando aprono un rubinetto del ba­gno. L’acqua è un bene essenziale per la vita umana che sappiamo sta diventando scarso per via della crescita della popolazione e del sovrasfruttamento. La sensibilità dell’opinio­ne pubblica sul tema sta progressivamente aumentando e un caldissimo fronte di dibat­tito resta aperto. Quello che è certo è che – contrariamente a quanto ritiene chi, senza ragionare troppo, applica concetti manuali­stici di economia – non saranno i prezzi a ri­solvere con il loro innalzamento il problema della scarsità dell’acqua, anche perché que­sto meccanismo funziona quando è possibi­le passare dalla risorsa costosa a un sostituto meno caro. E nel caso dell’acqua non ci sono sostituti.
In parallelo, sempre più ricca sta diventando la cassetta degli attrezzi delle iniziative che possiamo porre in essere per rendere più ef­ficiente il consumo di questa risorsa. Progressi ci sono stati sul fronte degli indicatori con la diffusione della misura della water footprint, ovvero del numero di litri d’acqua necessario per produrre un determinato bene. La water footprint può variare anche in modo drasti­co rendendo una determinata produzione più o meno efficiente dal punto di vista del consumo idrico in diverse aree del pianeta (fare agricoltura in Africa può costare fino al doppio in termini di litri che nelle valli tren­tine). È inoltre ben noto che esistono tre tipi di acqua (convenzionalmente detti verde, blu e grigia): l’acqua verde è l’acqua piovana, l’ac­qua blu è quella di falda, potabile e di migliore qualità mentre l’acqua grigia è quella che si contamina perché utilizzata per trattare l’in­quinamento e le sue conseguenze.
Una delle direzioni più importanti per l’uso efficiente dell’acqua dovrebbe essere proprio quella dell’uso multiplo. Si calcola che ab­biamo bisogno di acqua blu (potabile) solo per il 13% degli usi civici complessivi mentre ancora oggi quasi tutti gli usi civici (compre­sa, per intenderci, l’acqua del water) utilizza­no acqua potabile. I progetti di risparmio di acqua e le applicazioni già pronte sono mol­teplici e potrebbero consentire risparmi im­portanti. Nel settore civile si progetta in mo­do sempre più accurato la costruzione di a­bitazioni in grado di utilizzare nel modo più efficiente acque verdi per molti degli usi do­mestici. Nel settore industriale, inoltre, esi­stono già oggi interessanti migliorie pratiche come quelle di città danesi dotate di una u­na rete di riuso, riciclo e scambio di fabbiso­gni di acqua ed energia fra imprese di diver­si settori in grado di ridurne drasticamente i consumi complessivi.
Il problema però sorge quando passiamo dal­la cassetta degli attrezzi delle applicazioni tec­nologiche al sistema antropico, ovvero alla complessità della realtà socioeconomica in cui viviamo. La domanda fondamentale che ci gui­da in questo delicato passaggio è: perché le tecnologie migliori per l’uso efficiente dell’ac­qua se sono disponibili non si applicano? Per trovare la risposta dobbiamo studiare i comportamenti e le interazioni tra esseri u­mani e organizzazioni sapendo che en­trambi rispondono a incentivi monetari, ma anche a motivazioni intrinseche e a idealità profonde. Al solito, i regolatori non hanno spesso la benevolenza e la forza contrattua­le necessaria per imporre soluzioni ottime per la collettività su questo come su altri fronti. E rischiano di essere “catturati” dai regolati. La spinta decisiva può arrivare so­lo da un salto in avanti di responsabilità di cittadini e imprese, che utilizzino al meglio gli avanzamenti in materia di conoscenze tecnologiche e di costruzione di indicatori descritte in precedenza. I cittadini dovrebbero pretendere l’infor­mazione sulla water footprint dei diversi prodotti e “premiare” – con i loro consumi – le aziende migliori in ogni settore.
Le im­prese dovrebbero crescere nei loro sforzi di implementazione delle tecnologie più effi­cienti nel consumo di acqua, segnalare i lo­ro sforzi ai consumatori in modo tale da sti­molare la loro disponibilità a pagare di più per la responsabilità ambientale del pro­dotto valorizzando al massimo questa ri­sorsa intangibile. E in questo modo potrebbero concorrere a rendere più sostenibile l’adozione delle nuove pratiche. L’attivismo di imprese e consumatori responsabili può concorrere alla formazione di una norma sociale, una consuetudine virtuosa in grado di diffondere la pratica e l’adozione di standard elevati di risparmio della risorsa dando forza a istituzioni nazionali e internazionali nello sforzo di sviluppare normative in materia.
Nell’acqua come in altri settori il progresso tecnologico e delle conoscenze è premessa fondamentale ma, come al solito, è sul terreno delle interazioni tra persone e organizzazioni, e sulla costruzione di opportune motivazioni e di incentivi, che si gioca la parte più importante della partita. La sostenibilità economica delle innovazioni virtuose non è, infatti, fissa e immutabile nel tempo, ma dipende in modo cruciale dall’evoluzione di comportamenti e norme virtuose che possono modificare radicalmente la situazione a vantaggio del bene comune.
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