mercoledì 7 agosto 2013
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A mezzanotte, quando sulla giornata della Camera è finalmente calato il sipario, le presenze dei deputati in aula non arrivavano a dieci. Un pugno di onorevoli nel deserto agostano di Montecitorio per concludere la discussione generale su uno dei provvedimenti più controversi di questa legislatura: il disegno di legge cosiddetto "anti-omofobia", a lungo e sonoramente sostenuto da uno schieramento mediatico-culturale con estesi gangli in Parlamento. Un coro polifonico e abitualmente attento al rispetto delle forme democratiche che invece ha ritenuto non ci fosse nulla da eccepire sul fatto che il confronto nella sede democratica per eccellenza si svolgesse di notte, alla chetichella, lontano da sguardi indiscreti, al riparo da telecamere, taccuini e tg, sui titoli di coda d’una estenuante sessione di lavori assembleari dedicata al decreto "svuota-carceri". E dunque con l’aula prevedibilmente semivuota. È così che si comportano le istituzioni parlamentari di fronte a un delicato dossier sul quale pende il fondato sospetto che introduca nell’ordinamento italiano uno scriteriato reato d’opinione?Col ddl Scalfarotto-Leone si immagina di poter piegare ogni forma di istigazione alla violenza e alla discriminazione fondata «sull’omofobia o transfobia» agitando lo spettro del carcere non solo a maneschi e ignoranti ma anche davanti a chi venisse accusato di diffondere idee "non allineate" con la vulgata corrente. Ora i fatti parlano chiaro: un testo con un simile risvolto tutto da discutere informandone con trasparenza il Paese – al quale può interessare se le idee civilmente argomentate avranno ancora libera circolazione oppure verrà loro imposta la sordina di un plumbeo "politicamente corretto" – è stato fatto scivolare a chiusura dell’ordine del giorno di lunedì, quasi si trattasse di un’urgenza assoluta e improrogabile da esaminare in tutta fretta. Giudizio evidentemente non condiviso dalla quasi totalità dei deputati – ammesso e non concesso che lo fosse dai proponenti, forse più ispirati dalle esigenze di un’accorta tattica parlamentare per portare a casa il risultato – se è vero che alle 20, quand’è stata aperta l’improvvisata sessione notturna, si contavano meno di cento deputati, poi rapidamente assottigliatisi fino a diventare 22 (contati) un’ora dopo, e quattro o cinque a fine lavori. Non era previsto il voto, d’accordo: di quello si parlerà a settembre, quando alla riapertura delle Camere risulterà agli atti che i rappresentanti democraticamente eletti hanno già avuto modo di dibattere sull’opportunità o meno di una legge contro le discriminazioni ai danni delle persone omosessuali (in realtà un ampliamento della legge Mancino del 1993 che punisce l’odio politico e razziale). E quindi, a dibattito notturno già dimenticato, si dirà che è sufficiente pigiare un tasto senza perdere un minuto in più, privando così gli italiani dell’indispensabile trasparenza su una questione che certo non vede il Paese unanime. Tutt’altro.Questo scippo alla democrazia consumato con un blitz carbonaro in un’accaldata sera agostana, con l’opinione pubblica distratta se non già largamente in vacanza, reclama un ravvedimento operoso o almeno una spiegazione credibile, anche da parte di chi ha la responsabilità dei lavori alla Camera e ha lasciato che le cose prendessero questa piega grottesca. Perché sottrarre alla vista dell’opinione pubblica il confronto (già incredibilmente tacitato da media straordinariamente distratti, evasivi o compatti per il "sì" a tutto, bavaglio compreso) attorno a una questione sulla quale – non siamo certamente i soli a dirlo – si misura anche il nostro livello di sensibilità sociale? Nessuno accetta che si instauri un clima di intolleranza nella nostra società, di ogni genere e a qualunque livello, ma è legittimo confrontarsi su quali siano oggi le vere discriminazioni da arginare e sanare per legge: quelle legate a episodi di omofobia già pienamente perseguibili con le norme vigenti, o il persistente eroismo chiesto alle donne lavoratrici che con la maternità spesso si giocano il posto di lavoro? O la persecuzione fiscale alle famiglie numerose? O l’aborto indotto dalle angosce economiche di tante immigrate? O l’estromissione dei giovani da un mondo de lavoro che li respinge come corpi estranei? O la solitudine delle famiglie con disabili gravi a carico? Ecco alcune urgenze vere, discriminazioni insopportabili, istigazioni tenaci all’emarginazione che meriterebbero intere sessioni di lavori parlamentari. E non all’ora della buonanotte
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