venerdì 8 maggio 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Nel momento in cui il gossip entra in quella che comunemente chiamiamo ' nota politica', si può dire con un buon grado di approssimazione di essere ormai al punto di caduta finale della crisi democratica in atto da quasi un ventennio; tanti, infatti, sono gli anni che ci separano dalla "caduta del muro". Con lo sbriciolamento dell’ultima ideologia del XX secolo, però sono via via andate in crisi anche quelle culture politiche che erano cresciute nell’opposizione al comunismo. Nella seconda metà del Novecento si sono così formate generazioni di politici fortemente motivate sia per convinzioni ideali, sia per capacità di organizzazione del consenso. Nel bene e nel male ( perché scandali e soprusi ci sono sempre stati) anche l’ultimo dei peones, come erano chiamati i parlamentari delle seconde file, godeva sul proprio territorio di una reale rappresentanza. A garantirgliela c’era un sistema di relazioni nel quale la presenza del politico sul proprio territorio, e il contatto diretto con l’elettorato, erano le condizioni essenziali anche se qualche volta clientelari e corrotte. E più il comunismo sovietico mostrava segni di cedimento, con inversa proporzionalità cresceva la corruzione del sistema politico italiano, sino alla sua implosione finale con le inchieste giudiziarie di Tangentopoli. Da allora con le successive modifiche dei sistemi elettorali ( la prima riforma fu l’elezione diretta dei sindaci), il rapporto diretto tra i cittadini e i loro rappresentanti si è progressivamente diradato, fin quasi al suo completo annullamento. Oggi in Parlamento ci sono esempi di deputati e senatori che in campagna elettorale, non si sono neppure fatti vedere sul territorio dove sono stati votati. Da qui al gossip, il passo – purtroppo – è molto breve. In pratica sembra dimostrarsi il teorema che la politica svuotata di ideali forti e condivisi, finisce inevitabilmente ( e drammaticamente) per perdere il filo della propria missione che è, appunto, la rappresentanza del popolo nell’esercizio del potere legislativo e di governo. Lo svuotamento del confronto elettorale giocato nella realtà concreta della vita quotidiana dei cittadini, e sublimato a puro evento mediatico, contribuisce allo smarrimento del ruolo della politica come soggetto forte di direzione del Paese. L’impressione, perciò, è che il potere si eserciti sostanzialmente con forme meno partecipate, e che la politica delle idee sia messa ai margini e anche – come si legge nel gossip – banalizzata. Negli anni Sessanta, prima ancora della contestazione ( anzi per certi aspetti ne fu quasi una anticipazione), fu lanciato lo slogan sulla politica come "partecipazione". Una idea giusta anche oggi, ma difficile da realizzare perché, oltre alle strutture pratiche, è venuta meno la cultura diffusa della sua stessa importanza. Sempre più, infatti, l’idea di cittadinanza riduce tutta la sua ricchezza di significati nella più povera figura dell’utente. Del fruitore di servizi, e non del corresponsabile del bene comune che, come si sa, dovrebbe essere il fine principale del potere. Per questo, di fronte all’evidente crisi della rappresentanza ( con i suoi esiti paradossali), reclamare una partecipazione senza strutture e, soprattutto, senza idee non serve a molto; assai di più, invece, è necessaria una svolta culturale con al centro il cittadino- persona e il suo diritto di operare concretamente per il bene comune. Si dovrebbe risalire da qui.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: