mercoledì 19 agosto 2009
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Nel Paese degli aquiloni la speran­za vola alto ma rischia di cadere miseramente a terra. E in questa tor­mentata vigilia delle elezioni presi­denziali l’Afghanistan vede tutte le sue grandi aspettative trasformarsi in an­cor più grandi timori. Che i taleban sa­rebbero tornati massicciamente al­l’attacco nell’imminenza del voto era un fatto largamente previsto. Ma nes­suno immaginava che l’offensiva ter­roristica dei fondamentalisti islamici sarebbe arrivata fin dentro il blinda­tissimo centro di Kabul, il luogo più fortificato e protetto che ospita le mas­sime istituzioni dello Stato e le sedi di­plomatiche e militari della forza in­ternazionale.I sanguinosi e spettacolari attentati compiuti nelle ultime ore mostrano che i taleban sono in grado di colpire dove e quando vogliono. In questo modo rendono credibili le truculente minacce lanciate per dissuadere la po­polazione dal recarsi alle urne: chiun­que verrà trovato con le mani segnate dall’inchiostro elettorale subirà il ta­glio delle dita. Già si dà per scontato che nelle zone più a rischio i seggi non apriranno. E questo accadrà anche nella provincia di Herat, l’area posta sotto il comando militare italiano. Da­ti che preoccupano, ma preoccupano altrettanto le migliaia di certificati e­lettorali fasulli ( denunciati dagli os­servatori Ue) che lasciano presagire un alto numero di brogli. Un clima ben diverso da quello che a­veva caratterizzato, nell’ottobre del 2004, le prime elezioni democratiche dell’Afghanistan: lunghe code davan­ti ai seggi, tutti ansiosi di vivere da pro­tagonisti l’alba della democrazia nel «buco nero del mondo» da cui uscì il demone del terrorismo globale. A di­stanza di cinque anni regnano delu­sioni, paure e frustrazioni, a conferma che a volte la storia fa sì passi da gi­gante, ma all’indietro. Eppure le intenzioni degli afghani sembrano comunque premiare, an­che questa volta, il desiderio di recar­si alle urne. L’80 % si è registrato per le elezioni ed oltre due terzi, stando a un recente sondaggio, considerano «mol­to importante» il voto presidenziale di domani. Di fatto la stragrande mag­gioranza degli afghani rifiuta il vio­lento estremismo dei taleban ma al tempo stesso si dice scontento per l’i­nefficienza e la corruzione del gover­no e per l’incapacità di garantire un minimo di sicurezza da parte delle truppe internazionali dell’Isaf che in molti casi ha compiuto stragi tra i ci­vili. Che il presidente Karzai punti, con buone probabilità, ad essere rieletto è uno dei tanti paradossi dell’Afghani­stan dove la logica d’appartenza ai clan e le divisioni etniche favoriscono il ti­pico voto di scambio. Karzai è stato il pupillo dell’Occidente che però oggi sembra preferirgli il candidato del­l’opposizione Abdullah Abdullah, fau­tore di un cambiamento dai contorni indefiniti. Il presidente alla ricerca del secondo mandato ha risposto strin­gendo alleanze con i signori della guer­ra, in particolare con il discusso gene­rale Rashid Dostum che gli porterà in dote il voto della comunità uzbeka e la speranza di vincere al primo turno. Ma il test cruciale di questo voto è rap­presentato dall’affluenza alle urne. U­na partecipazione molto ridotta se­gnerebbe una sconfessione non solo dell’operato di Karzai ma di quello del­l’intera comunità internazionale che mantiene in Afghanistan oltre 100 mi­la soldati a difesa di un bastione es­senziale per la sicurezza del mondo. Lo ha ribadito il presidente america­no Obama che ha deciso di rafforzare la presenza militare statunitense per contrastare l’aggressività degli estre­misti islamici. Dalle urne di Kabul u­scirà un verdetto che riguarda anche l’Occidente e la sua pretesa di dettare legge nel 'buco nero del mondo'.
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