venerdì 16 ottobre 2009
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Inutile stupirsi, la trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici è approdata ieri all’unico epilogo possibile: una firma separata. Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl da un lato del tavolo, Federmeccanica dall’altro, si sono assunte la responsabilità di rinnovare il contratto nazionale in una situazione economica mai così difficile. Badando alla tutela di lavoratori e imprese, senza farsi prendere in ostaggio dalla Fiom-Cgil. Senza isolarsi, evitando antagonismi sterili, costruendo invece una base comune dalla quale ripartire insieme per superare la crisi.Quello siglato ieri è un buon contratto, stretto senza un’ora di sciopero da parte dei contraenti (le manifestazioni sono state proclamate solo dalla Fiom), in poco più di tre mesi, ben prima della scadenza del vecchio accordo. Un’intesa che agli industriali dà certezza di costi per un triennio e ai lavoratori assicura aumenti comunque di un certo peso in un settore flagellato dalla recessione, nel quale a dominare oggi è la sospensione della produzione. Un risultato niente affatto scontato, quello di portare a casa degli aumenti in busta paga, mentre i macchinari sono fermi. È vero, a gennaio la prima tranche da 28 euro, tolte le imposte, darà benefici appena percepibili per il portafoglio delle tute blu. Ma occorre ricordare che gli industriali avevano avviato la trattativa ponendo la condizione – niente affatto peregrina – di aumenti zero per il 2010. Se poi si guarda al complesso dell’incremento in busta – 112 euro in media – ci si accorge che non solo i sindacati sono riusciti ad ottenere quasi l’intera loro richiesta di 115 euro, ma che si tratta di una cifra in linea con quella del precedente rinnovo, firmato pure dalla Fiom-Cgil. Anzi, in un periodo di crisi globale, 112 euro per 36 mesi sono un risultato migliore dei 127 euro per 30 mesi, conquistato nel 2008 dopo quasi un anno di trattativa e un numero elevato di ore di sciopero con relativa perdita di salario. Inoltre, in questa tornata contrattuale sono stati concordati aumenti per la previdenza integrativa e per un fondo di integrazione al reddito da gestire in maniera bilaterale. Senza che ai lavoratori fossero chieste contropartite particolari. A dimostrazione di come le nuove regole fissate nell’accordo interconfederale dello scorso gennaio (dal quale la Cgil si autoescluse) siano funzionali ad agevolare la contrattazione e sopratutto relazioni industriali improntate alla collaborazione.Ed è proprio questo che la Fiom non voleva e non poteva accettare: il superamento di quel modello meramente conflittuale dei rapporti sociali al quale resta invece pervicacemente aggrappata. Se altre categorie come gli alimentaristi, infatti, hanno scelto nelle settimane scorse la via pragmatica del compromesso per salvaguardare la tutela dei lavoratori e l’unità dell’azione sindacale, non così poteva avvenire per il gruppo dirigente Fiom, il cui riferimento culturale resta il biennio rosso 1919-20 con l’autogestione delle fabbriche.Peccato. Tuttavia, già altre due volte negli ultimi dieci anni il contratto dei metalmeccanici è stato rinnovato solo da Fim-Cisl e Uilm-Uil. Anche allora vennero da sinistra proclami di democrazia tradita, la minaccia di una campagna di scioperi e ricorsi ai tribunali. Alla fine gli operai hanno potuto contare su quegli aumenti, hanno continuato a lavorare, e la Fiom dopo 4 anni si è dovuta adeguare. Ora si tratta di andare avanti, di conquistare altro salario nella contrattazione integrativa, di mettere insieme le energie per uscire dalle secche e rilanciare la produzione.Ed è soprattutto la Cgil ad essere attesa a una prova di maturità, a un cambio di strategia. I lavoratori non si tutelano né arroccandosi sopra i tetti, né inanellando uno dietro l’altro scioperi, cortei, manifestazioni. Il mestiere del sindacato è anzitutto contrattare e stringere intese a favore dei lavoratori. Quando non ci riesce, un sindacato firma solo il proprio fallimento, s’è perduto.
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