sabato 25 luglio 2009
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Il ritorno dello scudo. Come il se­quel di un film di successo, il con­dono fiscale per i capitali nascosti all’estero, dopo le ' fortunate' edi­zioni del 2001 e del 2002, conoscerà un terzo episodio quest’anno. Il provvedimento ha ottenuto il via li­bera con il voto di fiducia alla Ca­mera sul decreto anticrisi, e sarà fruibile subito terminate le vacanze estive: da settembre e fino ad apri­le chi ha esportato illegalmente at­tività finanziarie o patrimoniali in un ' paradiso' all’estero potrà av­viare le pratiche per il rimpatrio e far pace con lo Stato pagando non più del 5% del capitale occultato. Sin dai primi passi, come prevedi­bile, lo scudo- 3 ha sollevato critiche e alimentato polemiche. Tra le ac­cuse mosse al governo, quella di a­ver concepito l’ennesimo condono a favore di chi si sottrae ai doveri fi­scali, di concedere il perdono tri­butario infliggendo agli evasori una penitenza tutto sommato lieve, ma soprattutto di contribuire ad ali­mentare il sospetto che in Italia – per dirla con il linguaggio dei blog – chi fa il furbo, alla fine, la fa sem­pre franca. Nella realtà la ragione e lo scopo del­lo scudo meritano un’argomenta­zione più completa e articolata. La norma, come ha più volte rimarca­to il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, nasce alla luce degli im­pegni assunti il 2 aprile scorso al ver­tice del G20 di Londra nel quadro della lotta ai paradisi fiscali. Una battaglia, e questo va riconosciuto a Tremonti, che ha l’Italia tra i pro­motori e sostenitori più convinti, anche nel segno di una ridefinizio­ne etica dei percorsi delle attività fi­nanziarie. Provvedimenti analoghi sono in elaborazione anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. La terza edizione dello scudo ha poi una indiscutibile utilità economica. Ipotizzando, come viene fatto infor­malmente, il rientro in patria di u­na somma tra i 50 e i 100 miliardi di euro, sui 550 miliardi che si stima­no nascosti, l’erario incasserebbe tra i 2,5 e i 5 miliardi di euro. Che in tempi di crisi sono oro colato per le sofferenti casse pubbliche, consi­derate le difficoltà nel reperire ri­sorse per la ricostruzione dell’A­bruzzo o il finanziamento degli in­terventi di politica sociale. Se il fine può – in una certa misura – giustificare il mezzo, i contorni di un provvedimento ne definiscono la sua cifra di equità. La ' sanzione' prevista dallo scudo- 3 può arrivare se va bene al 5% delle somme rim­patriate: è il doppio del 2,5% delle precedenti edizioni, ma pur sempre una cauzione leggera per gli habitué del turismo dei capitali. Negli altri Paesi interessati a favo­rire l’emersione spontanea di capi­tali – lo ha rimarcato il governatore di Bankitalia, Mario Draghi – chi ri­porta in patria la ricchezza nasco­sta è chiamato a pagare tutto il do­vuto con gli interessi, senza la co­pertura dell’anonimato garantita in Italia, mentre il ' premio' non con­siste nella protezione del tesoro quanto nel risparmio della sanzio­ne penale. Lo scudo made in Italy , nella sua lie­vità rispettosa, rischia di promuo­vere la sensazione di una legalità fluida, quasi un’ammissione di de­bolezza dello Stato verso chi si fa beffe della sua macchina fiscale. U­na diluizione del rispetto dovuta an­che alla ripetitività dei provvedi­menti di condono. Per tali ragioni, la condizione necessaria al ritorno dello scudo impone che sia il prelu­dio a una nuova stagione di certez­za e di severità fiscale. Soprattutto che sia l’ultimo, l’atto finale della trilogia, non l’ennesima puntata di una fiction.
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