venerdì 7 ottobre 2016
​La riflessione (tradizionale, ma non rituale) della Ccee (Mimmo Muolo)
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La riflessione (tradizionale, ma non rituale) della Ccee L’appuntamento è di quelli ormai tradizionali. Una volta all’anno i presidenti delle 39 Conferenze episcopali nazionali europee (Ccee) si incontrano per parlare di questioni pastorali e sociali comuni alle Chiese del Vecchio Continente. Eppure mai come quest’anno (l’assemblea è in corso da ieri nel Principato di Monaco) tale riunione assume un significato quasi cruciale. L’Europa, è inutile nasconderlo, sembra giunta a un bivio della sua storia recente. Lo schiaffo della Brexit, i costanti balbettii nella ricerca di soluzioni appropriate alla questione migratoria, il dibattito spesso rancoroso sulla direzione da imprimere alle scelte economiche, le ferite del terrorismo, l’inverno demografico che avanza in molti Paesi, le derive etiche e le confusioni giuridiche su temi come eutanasia, utero in affitto e matrimoni omosessuali stanno creando profonde divisioni nella società.

E alcune questioni sono giunte persino a minare la saldezza del sogno unitario dei padri fondatori della Ue. Quello stesso sogno che – una volta messo in pratica – ha assicurato al continente il più lungo periodo di pace e di prosperità della sua storia millenaria. In questo panorama non certo confortante qual è il ruolo della Chiesa in Europa? Che cosa possono offrire alla soluzione dei problemi l’esperienza di prossimità alla gente, la carità fattiva e la lungimiranza creativa delle comunità ecclesiali? Anche di questo dunque si discute a Montecarlo nel corso dell’Assemblea del Ccee. E la scelta del luogo colpisce, ma non deve stupire. Spesso per risolvere i problemi dei poveri, bisogna saper parlare anche ai ricchi, ai potenti, a coloro che – apparentemente – sono “senza problemi”.

Toccare, se possibile, il loro cuore. Indurli a rivedere quelle politiche e quei meccanismi perversi («strutture di peccato», le chiamava san Giovanni Paolo II) che, come ha denunciato con forza fin dall’inizio del suo pontificato papa Francesco, finiscono per creare miseria, esclusione, sottosviluppo. Perciò il luogo Montecarlo è un messaggio nel messaggio.

La Chiesa in Europa vuole dialogare con tutti per portare davvero a tutti l’annuncio liberante del Vangelo. L’inizio dei lavori è stato in questo senso più che promettente. In sostanza, si è subito andati nella direzione che già la settimana scorsa il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e vicepresidente dell’organismo europeo, aveva auspicato con forza: «Serve una rifondazione culturale dell’Europa». Serve cioè riscoprire, al di là di miopi laicismi, quell’humus nel quale il nostro continente si è formato e che è ascrivibile in massima parte alla radice giudaico-cristiana, innestata a sua volta sul tronco della grande tradizione del mondo classico. 

 A ben guardare, infatti, è proprio l’aver messo tra parentesi quella radice culturale a fare da retroscena ai grandi problemi che offuscano l’orizzonte europeo del terzo millennio. Duemila anni fa la rivoluzione cristiana aveva cominciato a insegnare agli uomini e alle donne del mondo allora conosciuto a riconoscere nel volto dell’altro un fratello e non un nemico o uno schiavo. Duemila anni dopo la controrivoluzione dell’individualismo rischia in un certo senso di riportare indietro le lancette dell’orologio.

E così il profugo che scappa da guerra e miseria diventa un invasore, il malato terminale un peso da eliminare, il lavoratore un centro di costo, il povero uno da emarginare o da sfruttare a seconda della convenienza, la famiglia (con la sua ricchezza e stabilità relazionale) un retaggio del passato, da superare anche attraverso la «colonizzazione culturale» del gender, i figli un oggetto da «fabbricare» in ogni modo e a qualsiasi costo. 

 Dall’assemblea del Ccee, in perfetta consonanza con il magistero di Francesco, è emerso invece, fin dal primo giorno di lavori, un “grido” che è anche un accorato appello: «Europa ritrova te stessa. Ritrova il tuo humus culturale cristiano». Ritrova cioè quell’umanesimo fondato sulla perenne novità di Cristo che in definitiva è anche ciò che di più prezioso il Vecchio Continente può offrire alle altre regioni di un mondo in rapidissima evoluzione: la capacità di governare in nome della comune umanità la pretesa di strapotere della tecnoscienza e di un’economia rapace.

Questo è, tradotto in termini correnti, da sempre l’impegno della Chiesa in Europa. Un impegno rinnovato e ricompreso, oggi, alla luce delle nuove sfide. C’è da sperare che la sua voce non resti inascoltata. Nelle aule parlamentari di Bruxelles, Strasburgo e delle singole nazioni, come nei circoli dove certi maître à penser elaborano le loro teorie, spesso in contrasto con la realtà. Perché ciò che in definitiva è in gioco è il futuro di tutti.

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