sabato 22 agosto 2009
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Caro Direttore,c’è stato un tempo, nella storia della nostra Chiesa, in cui si è constatato l’allontanamento dei fedeli dal sacramento della Riconcializione. «I confessionali sono vuoti», dichiaravano allarmati e pressati dallo sconforto sacerdoti e vescovi da tutta l’Italia! Forse era il segno dei tempi. Tutto era cambiato – il terrore della guerra, gli stenti e la povertà – erano diventati ormai un ricordo legato solo al passato, qualcosa che le nuove generazioni studiavano nei libri di storia senza, di fatto, averne mai fatto esperienza. E forse anche la fede venne in qualche modo trascurata. Si pensò allora di ricominciare a promuovere «Evangelizzazione e sacramenti» e a rilanciare la catechesi. Tutto questo contribuì, probabilmente, al riavvicinamento dei fedeli alla pratica della confessione e ridisegnò il tipo di presenza pastorale delle parrocchie. Anche oggi, però, sembra che molti confessionali rimangano «vuoti». Devo confidarle, caro direttore, con grande tristezza, la difficoltà di rintracciare «facilmente» un sacerdote per celebrare il sacramento della Riconciliazione. Molti sacerdoti sembrano diventati «spiritual-manager»; li trovi dappertutto, talvolta fuori dal loro territorio parrocchiale, ma soprattutto lontani dal confessionale, luogo indispensabile per la nostra salvezza. Fa riflettere il fatto che nel 1827 la fama di santità di Giovanni Maria Vianney fosse tale da portare nel piccolo paesino di Ars la media di trentamila fedeli all’anno (quasi centomila negli ultimi anni di vita del Santo Curato). Il «martirio del confessionale», probabilmente è questa la principale attività missionaria svolta da questo grande Santo che Papa Ratzinger ci ha invitato a contemplare in occasione dell’Anno Sacerdotale. Aiutiamo i nostri sacerdoti a non dimenticare l’importanza di questo grande sacramento, che ha a che fare con il mistero della misericordia di Dio.

Michelangelo Nasca, Palermo

Lascio ai sociologi della religione analizzare e commentare l’andamento della pratica della Confessione, con i problemi di cui oggi risente. La sua riflessione, caro Nasca, della quale condivido l’auspicio fondamentale, mi offre però lo spunto per richiamare la preziosa riflessione sull’argomento svolta dal Papa poco più di un anno fa, nel discorso rivolto ai partecipanti al corso annuale promosso dalla Penitenzieria Apostolica (il 7 marzo 2008). Innanzitutto la sottolineatura della necessità di «formare rettamente la coscienza dei credenti perché (...) nella misura in cui si perde il senso del peccato, aumentano purtroppo i sensi di colpa, che si vorrebbero eliminare con insufficienti rimedi palliativi». Ciascuno può verificare la profonda verità di questa constatazione del Pontefice. Il preteso «superamento» del senso del peccato ha come corrispettivo un dilagare delle patologie psicologiche che talvolta approdano a esiti tragici. Il senso autentico del peccato, lungi dallo sprofondare nel buio interiore, nell’affanno angoscioso va di pari passo con la certezza della misericordia divina. Sottolineava il Papa: «Qualsiasi peccato si sia commesso, se lo si riconosce umilmente e ci si accosta fiduciosi al sacerdote confessore, si sperimenta sempre la gioia pacificatrice del perdono di Dio». Ma va altresì ricordato che il sacramento non cancella solo i peccati, ma è orientato a plasmare al bene la vita e il Papa segnala infatti «il legame stretto che esiste tra il sacramento della Riconciliazione e un’esistenza orientata decisamente alla conversione. Occorre che tra la pratica del sacramento della Confessione e una vita tesa a seguire sinceramente il Cristo si instauri una sorta di “circolo virtuoso” inarrestabile, nel quale la grazia del Sacramento sostenga ed alimenti l’impegno ad essere fedeli discepoli del Signore». Ecco che la distensione delle giornate di ferie, per molti ancora in corso, possono essere l’occasione propizia per riconsiderare anche l’atteggiamento verso questo sacramento.
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