martedì 15 dicembre 2009
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Caro Direttore,per dare un’educazione critica non è necessario essere genitori «intellettuali»: un nonno contadino spesso è tra i più efficaci «distruttore di miti» che un bambino possa avere la fortuna di incontrare. Questa era la conclusione, alcuni anni fa, originale ed efficace di un piccolo manuale d’uso messo a punto da pediatri e psicologi, voluto dal Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione dei programmi televisivi, insieme all’Ospedale Bambin Gesù di Roma, e con l’adesione del Comitato nazionale di Bioetica. Anche l’Accademia americana di pediatria ha osservato come, accanto alla famiglia, la tv costituisca il potere più influente sullo sviluppo del bambino. Non c’era bisogno di scomodare un’accademia d’Oltreoceano, per dimostrare quanta pressione psicologica la tv in Italia abbia sui piccoli. Alcuni livelli di rischio di tele-patologia sono «l’uso superiore alle 2/3 ore al giorno», ma anche «la diminuzione di attività di svago alternative alla tv», la «confusione tra realtà e descrizione televisiva della realtà», «ansia e depressione abnormi associate alle notizie sentite in tv». Quando si capirà che una tv rispettosa dei bambini piace anche agli adulti?

Gabriele SolianiReggio Emilia

Non posso purtroppo dare risposta, caro Soliani, alla sua domanda finale, che andrebbe ovviamente girata ai responsabili dei palinsesti e delle programmazioni, fra cui non mancano accreditati intellettuali e personaggi che ormai sanno davvero tutto di codici deontologici e delle varie stesure delle «carte dei minori»... Da tempo la famiglia, la scuola, il mondo della televisione e quello di chi deve legiferare sanno bene quali sarebbero gli ingredienti base di una ricetta utile per non tirar su una nuova generazione insidiata da un assortimento di telepatologie: serve una cura di buon senso e buon gusto, di confronto con la realtà (vera, non virtuale) e – soprattutto – è necessaria, da un lato, la saggia compagnia degli adulti e, dall’altro, una seria considerazione dei limiti invalicabili di ciò che può essere mandato per l’etere, soprattutto nelle «fasce protette» di ascolto. Già una generazione – quella degli attuali 20-25enni – è cresciuta sotto l’influsso della cosiddetta «televisione commerciale», riferendo quest’immagine non solo all’emittenza privata, ma in generale alla tv nella quale pubblicità e lotta per lo share prevalgono su tutto. Il lavoro grosso, comunque, non possiamo aspettarcelo dagli altri, deve partire in casa, in famiglia, dalle responsabilità di chi – genitori, fratelli maggiori e nonni – ha in custodia i più piccoli. Con poche e semplici buone regole, praticabili da tutti: evitando di proporre ai bambini programmi inadatti; guardando la televisione insieme a loro, così da esercitare il commento critico; non sostituendo la presenza personale con lo schermo; stabilendo insieme ai piccoli un tempo ragionevole di visione; non lasciando loro in mano il telecomando; e infine cercando svaghi, giochi, passatempi alternativi al piccolo schermo. In tutte le cose necessita misura: in questa, ancor di più.
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