mercoledì 24 aprile 2013
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Gentile direttore,
troppo spesso leggo lettere che si lamentano della Rai ignorando un dato di fatto fondamentale. La lettera del lettore Graziani, pur contenendo argomentazioni del tutto condivisibili, pone la domanda se sia possibile non pagare il canone Rai. Sarebbe bene che lei rispondesse spiegando come stanno effettivamente le cose. Il canone Rai non è un canone che dobbiamo pagare per vedere i canali Rai. Lo si definisce "canone" ma non lo è. È una tassa "obbligatoria" che deve essere pagata da chiunque possieda un apparecchio televisivo. Ciò indipendentemente dal fatto che i programmi di qualsiasi rete (Rai, Mediaset, La7 o altra) li si guardi o no, che questi piacciano o non piacciano. Così come si paga il bollo auto, sia che si circoli, sia che si lasci ferma la vettura: si paga il fatto di possederla.
Giovanni Castelli
Lei, gentile signor Castelli, ricorda qualcosa che sulle nostre pagine è stato spiegato cento e più volte e che ogni anno, per molte settimane, gli spot della Rai rammentano anche ai più distratti: il mitico "canone tv" in base alle norme vigenti non è una mera possibilità, ma un obbligo per chi possiede un apparecchio televisivo. Nel febbraio dello scorso anno qualcuno scoprì che, in teoria, sulla base della legge e delle sue interpretazioni giudiziarie, il canone avrebbero dovuto pagarlo anche tutti i possessori di mezzi multifunzione adatti a ricevere anche un "segnale tv" prodotto e rilasciato nell’atmosfera italiana. Per fortuna, la questione che allarmò qualche giornale e diversi cittadini venne sciolta da una dichiarazione della stessa Rai che precisò di aver considerato il canone stesso sempre e solo riservato agli apparecchi specifici e, perciò, di non averlo mai preteso per altri mezzi (computer, tablet o telefoni cellulari evoluti). Si tratta di una prestazione tributaria dovuta, come anche lei ricorda, per il solo fatto di essere in condizione di ricevere i programmi del servizio pubblico radiotelevisivo. La devo correggere però su un punto che non è solo formale: da diversi anni ormai il canone tv non è più una "tassa" (cioè un tributo collegato alla «fruizione di un servizio»), bensì una "imposta" che grava sulla «detenzione» di uno o più apparecchi da parte di un cittadino e che viene considerata, in sé; manifestazione di un’adeguata «capacità contributiva». Potremmo discutere all’infinito su questo punto, su questa presunzione (e io, nel mio piccolo, più di un motivato dubbio lo nutro...), ma il problema sollevato dalle lettere inquiete e sempre più frequenti a cui lei fa riferimento è un altro. Se persone che si potrebbero definire "benpensanti" arrivano al punto di minacciare il non-pagamento per protesta di un’imposta come il canone Rai, vuol dire che qualcosa si è guastato nel modo di fare radiotelevisione anche nel nostro prezioso servizio pubblico. So bene, gentile signor Castelli, quanta buona tv e buona radio viene garantita dalla Rai (e non sto pensando solo ai programmi che incontrano il mio gusto o rispondono ai miei interessi), ma proprio per questo mi chiedo con amarezza perché si consentano certe incresciose cadute di livello e, soprattutto, il radicarsi di un certo cattivo gusto e di una apparentemente inarrestabile volgarità. Dico spesso che la Rai ha un dovere di qualità in più nel panorama mediatico italiano, che nasce proprio dagli elevati standard che le sono stati e le sono ancora propri. La Rai fissa, per così dire, il livello di riferimento: se lo abbassa, tutto il sistema ne risente. E anche se c’è chi tenta l’auto-assoluzione all’insegna del «ce lo chiede il pubblico», è un fatto che tra chi guarda e ascolta cresce il numero dei risentiti. Le imposte vanno pagate, ma il servizio (pubblico) va onorato. Obblighi e doveri non sono mai a senso unico.
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