Il calvario di Asia Bibi è interminabile, ma noi continuiamo a contare i giorni
domenica 19 febbraio 2017

Gentile direttore,
sono un abbonato, lettore da molto tempo del nostro giornale. Anche oggi, sabato 18 febbraio, ho visto scritto nell’ultima pagina "Salviamo Asia Bibi in carcere da 2.797 giorni perché cristiana". Tale segnalazione non ha avuto alcun risultato. Ritengo che sia necessario che coloro che hanno responsabilità politiche e sociali facciano qualche cosa perché questa ingiustizia abbia a cessare. Spero che questa mia richiesta abbia ascolto e porti a qualche risultato…

Bruno D’Este

Padova



Su queste pagine di giornale abbiamo fatto e faremo ancora di tutto per sostenere Asia Bibi. Ogni volta incontrando persone impegnate quanto e più di noi. Ma anche andando a cozzare con l’incredibilmente resistente e respingente "muro di gomma" che nel Paese di cui è cittadina circonda le pareti della cella in cui è rinchiusa questa donna pachistana di religione cattolica, madre di cinque figli, due volte condannata a morte per "blasfemia" solo e soltanto a causa della fede che professa e che non intende rinnegare. Abbiamo messo in pagina o promosso cronache, appelli, raccolte di firme, dibattiti e quel "conta-giorni" inesorabile e ammonitore – siamo già a 2.798 giorni – che continua a suscitare la reazione dei nostri lettori. A diversi di loro ho risposto in forma privata. Stavolta, gentile signor D’Este, approfitto della sua lettera per tornare sul punto. Ogni tanto chi legge solo saltuariamente "Avvenire" mi chiede «se non sia poco» un "conta-giorni" per uno scandalo della illibertà così grande. Ogni tanto anche chi, come lei, segue con continuità e adesione il nostro lavoro di informazione arriva quasi a farsi la stessa domanda. Ebbene: quel conta-giorni è un dito nell'occhio, che preme, dà fastidio e impedisce – spero – di far finta di nulla... Il tempo passa, siamo arrivati a sette anni e otto mesi di ingiusta detenzione per Asia, nostra sorella di fede e d’umanità, e lettere come la sua dimostrano che c’è un opinione pubblica ben informata che nonostante silenzi e smemoratezze non si rassegna a un lungo e sempre più intollerabile Calvario. Per questo continuo a sperare che altri giornali si uniscano prima o poi a noi nell'appello, e nel pungolo cronachistico, attraverso il quale continuiamo a chiedere alle autorità di un grande Paese a maggioranza musulmana di onorare la propria civiltà e i condivisi valori cardine del diritto delle genti. Lo facciamo con forza e costanza, ma anche con rispetto. Consapevoli di come uomini e donne pachistani di differente fede, di stessa statura umana e intellettuale e di alta spiritualità e moralità si sia battuti e si stiano ancora battendo per chiudere bene questo caso e sanare la ferita che la mal congegnata e peggio applicata "legge sulla blasfemia" mantiene aperta. Da qualche settimana, siamo anche noi in attesa di capire se, dopo alcune false partenze, il nuovo giudizio sulle gravi ma assurde accuse sollevate contro Asia Bibi riuscirà finalmente a cominciare nel prossimo marzo, e a svolgersi serenamente nonostante la pressione degli ambienti islamici fondamentalisti che vorrebbero impedirlo in nome di un feroce pregiudizio. Ci auguriamo che torni anche per Asia il tempo della giustizia e dell’umanità, e di poterle consegnare presto il Premio per i diritti umani intitolato a Maria Rita Saulle che le è stato assegnato nel 2014 a Roma e che custodiamo con fiducia e con la crescente impazienza di celebrare anche così il suo ritorno alla vita e alla libertà.

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