martedì 16 luglio 2013
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Caro direttore,
chi offende sporca se stesso, forse occorre guardarsi allo specchio della propria interiorità per cogliere il basso e disprezzante linguaggio di un uomo che si dice espressione di un popolo... Spero ancora che quella scagliata contro Cécile Kyenge sia solo la immagine di un momento di grande confusione mentale del senatore Calderoli, come spesso gli accade. Ami pure gli animali, Calderoli, nessuno lo vieta, ma rispetti la persona.
Mi sento offesa come italiana, come donna, ma soprattutto come figlia di un Dio che non fa distinzioni, e ama tutti.
Chiedo scusa, io, al ministro Kyenge e la ringrazio perché in varie occasioni – non rispettata – ha usato la saggezza e la dignità che la contraddistingue. Non è certo il colore della pelle che ci rende amabili o capaci di recare offesa ai nostri simili.
Dicevano i nostri vecchi: la bocca parla per la pienezza del cuore!
Rosanna Di Todaro, Vicenza
 
Caro direttore,
il ministro Cécile Kyenge rappresenta oggi, di fatto, un punto di confine tra la civiltà e la barbarie, ma anche questo modo di considerarla è a ben vedere indegno. Non è degno, cioè, che la signora medico, parlamentare e ministro della Repubblica divenga simbolo di una 'tolleranza' che è ben poca cosa rispetto a quanto le è dovuto. Cécile Kyenge non è un simbolo, è innanzitutto una persona, una donna che si è assunta una responsabilità con grande coraggio. Questo è ciò per cui va guardata, ciò per cui va stimata. Questo, in realtà, è ciò che si deve a ogni altro da noi: non considerarlo 'diverso' e quindi decidere come trattarlo, ma stimare la sua alterità come ricchezza, come possibilità per crescere in umanità. Poveretti quelli che, come un’alta carica istituzionale, la offendono.
Poveretti persino quelli che la minacciano di morte. Poveretti, sì, perché sono loro a perderci in umanità!
Gianni Mereghetti, Abbiategrasso (Mi)
 
Caro direttore,
premesso che le frasi offensive sono sempre e comunque condannabili, bisogna dire anche che sono una pratica molto diffusa, più di quanto i media che le cavalcano a secondo della convenienza vogliano farci credere. Cito solo tre esempi di razzismo 'rosso' che non sono etichettati Calderoli: 1) stadio della civilissima Napoli: «Bossi crepa»; 2) Brunetta irriso dal compagno Fo per la sua statura; 3) Rosy Bindi che giustificava così chi aveva gravemente ferito Berlusconi col lancio della statuetta del Duomo di Milano (danno oltre la beffa e pur sempre peggio di un insulto): «Certi gesti qualche volta sono spiegabili». Non ricordo prese di posizione di Napolitano contro questi benpensanti; sarà forse perché in Italia a essere 'compagni' si è automaticamente vaccinati contro il razzismo?
Enzo Bernasconi, Varese
 
Sono totalmente d’accordo con questi nostri tre lettori sul cuore o, almeno, sulla premessa dei loro ragionamenti: le offese sono sempre e comunque condannabili (e, infatti, 'Avvenire' le ha sempre sottolineate e riprovate, da chiunque venissero scagliate).
Sono, invece, in disaccordo con un paio di argomentazioni del signor Bernasconi. Il primo disaccordo è di principio: la polemica politica – persino quella di pessima qualità – non è mai assimilabile al razzismo, resta infatti insuperata e insuperabile la disumana meschinità di chi cataloga uomini e donne per 'razza' e li giudica su questa base, squalificando così anche se stesso. Il secondo disaccordo è da cronista pignolo: Rosy Bindi – che con Silvio Berlusconi non è mai stata tenera, ma che da lui ha ricevuto spesso in cambio ironie per niente cavalleresche e anche decisamente grevi – in quel dicembre 2009 non giustificò affatto l’aggressore del premier allora in carica, parlò infatti testualmente di gesti «mai giustificabili, anche se possono essere spiegabili» con un pesante clima di «scontro politico e istituzionale».
Ma veniamo all’ennesimo 'caso Calderoli', cioè alle incredibili e 'animalesche' affermazioni del parlamentare della Lega Nord (già ministro e oggi vicepresidente dell’Assemblea di Palazzo Madama ) contro il ministro Cécile Kyenge, 'colpevole' di avere la pelle nera e opinioni chiare ma diverse da quelle di Calderoli stesso. Beh, credo che possano esserci pochi dubbi sul fatto che sia stato più che opportuno che il presidente Giorgio Napolitano abbia portato al massimo livello possibile il profondissimo disagio che quegli insulti hanno provocato nella stragrande maggioranza degli italiani. Sono tra coloro che ritengono che a nessuno possa essere impedito di pensare liberamente e, altrettanto liberamente, di avere ed esprimere propri pareri (anche i più controcorrente), ma con almeno tre invalicabili e per nulla formali limiti: la non manipolazione dei fatti o delle altrui opinioni, la buona educazione e, soprattutto, il rispetto assoluto verso ogni persona. Anche gli uomini di parte – addirittura duramente di parte – possono riuscire in questo civile esercizio, che non comporta in alcun modo la rinuncia a rappresentare una propria visione delle cose e i propri elettori.
Gli uomini e le donne delle istituzioni, però, non possono mai dimenticare che rappresentano tutti, e sono tenuti a esprimere in modo esemplare e sempre «onorevole» la civiltà degli italiani. Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato della Repubblica, ha ignorato in modo molto grave questo dovere, dimostrandosi non soltanto di parte, ma volgarmente fazioso e indecentemente razzista.
Credo anch’io che le parole di scusa (che, più o meno, sono arrivate) in casi come questo non bastino, servono gesti forti e inequivocabili, che risarciscano sul piano morale tanto la persona offesa, la signora ministro Kyenge, quanto l’Istituzione umiliata.
Calderoli si dimetta, almeno dalla vicepresidenza del Senato. Se poi intendesse fare di più, nessuna obiezione (e penso che, al di là delle dichiarazioni di facciata, anche nel suo partito più di qualcuno non se ne dispiacerebbe...).
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