sabato 18 febbraio 2017

Caro direttore, gettatasi alle spalle lo choc del risultato referendario, la politica ha ripreso il suo corso procedendo per strappi e forzature. Eppure uno dei principali messaggi emersi dal 4 dicembre è il desiderio di una normale, sana azione di governo per affrontare una crisi che sta per entrare nel decimo anno, e non se ne intravede la fine. Non si tratta tanto di una questione di fiducia nella persona dell’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, il cui gradimento nei sondaggi peraltro tende a salire con il tempo, quanto piuttosto della necessità avvertita dalla società civile di entrare in una fase di più matura riflessione attorno a problemi economici e sociali che invece, con il trascorrere dei mesi, tendono ad aggravarsi. La concezione leaderistica della po-litica, radicatasi nell’ultimo quarto di secolo, pare aver mostrato alla fine tutte le sue debolezze; ora il Paese è alla ricerca di un metodo diverso per uscire insieme dai problemi.

Lo teorizzava Don Milani cinquant’anni fa, sembrano parole scritte ieri mattina. L’ultima cosa da fare, in un momento in cui occorre impostare un’ennesima correzione dei bilanci pubblici, sposandola con i necessari criteri di solidarietà e coesione sociale, è lasciare che la classe dirigente del Paese non si assuma la propria responsabilità. Nessuno può gettare la croce addosso a nessuno: le nostre difficoltà nascono, in ugual misura, anche dalla miopia della classe imprenditoriale come dalla mancanza di senso comunitario da parte della società nel suo insieme. Ma in questo momento il compito di indicare la strada spetta esattamente a chi, quattro anni fa, si è sottoposto al giudizio del corpo elettorale, scegliendo liberamente il difficile compito di studiare e offrire soluzioni. E di applicarle. Ecco perché suonano come una pericolosa fuga dalla realtà le richieste di scioglimento anticipato delle Camere, una sirena cui non sono sordi né dalle parti della maggioranza né sui banchi dell’opposizione: andare alle urne senza avere le idee chiare sul cosa fare dopo, quanto piuttosto avendone di chiarissime sulla necessità di nascondere gli insuccessi recenti, sarebbe l’ennesima fuga dalla realtà.

I mesi che ci dividono dalla fine naturale della legislatura (esattamente 12) rappresentano un tempo sufficiente per iniziare a essere incisivi nei confronti della crisi economica, per ritrovare le ragioni e i metodi della sana mediazione politica. Per fare moltissimo. In cento giorni Roosevelt lanciò il 'New Deal' che portò l’America fuori dalla crisi del 1929. Noi a disposizione ne abbiamo 365: ce n’è per fare tre 'New Deal'...

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