mercoledì 4 dicembre 2013
Porre limiti stringenti al commercio di armi, impedirne la vendita a Paesi sotto embargo e dove sono stati violati apertamente i diritti umani, combattere le transazioni illecite.
COMMENTA E CONDIVIDI
Porre limiti stringenti al commercio di armi, impedirne la vendita a Paesi sotto embargo e dove sono stati violati apertamente i diritti umani, combattere le transazioni illecite. Ma soprattutto stabilire uno strumento legale per favorire la prevenzione e il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale. Sono gli obiettivi ambiziosi, e di portata storica, del Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali. Approvato dall’Assemblea Generale dell’Onu lo scorso aprile, il Trattato sancisce un principio fondamentale e "nuovo": quello per cui i beni pubblici globali, come il mantenimento della pace e la salvaguardia dei diritti umani sono da ritenersi superiori al principio della libertà degli scambi che informa la struttura della gran parte delle transazioni economiche globali. In breve, il tanto sbandierato motto it’s business stupid! non vale più quando ci troviamo di fronte a minacce della sicurezza globale e dei diritti umani elementari. Mentre si rafforza l’idea che anche strumenti di natura economica, e non solo soluzioni militari, siano funzionali al conseguimento della pace. Per usare un altro motto, viene rafforzata l’idea del si vis pacem para pacem. Il Trattato è arrivato all’approvazione dell’Assemblea generale in un momento storico in cui gli scambi globali di armi vivono un aumento continuo. Secondo i dati diffusi dal Sipri, tra il 2007 e il 2012 le transazioni mondiali di armamenti sono aumentate a livello globale del 6% in termini di volume, fino a raggiungere il valore sottostimato di 45 miliardi di dollari nel 2011. Gli Stati Uniti rimangono il principale Paese esportatore, seguito dalla Russia. Mosca, in particolare, ha aumentato le esportazioni tra il 2007 e il 2012 del 42%. Anche la Cina si è trasformata da importatore a esportatore di rilievo, con una crescita dei volumi esportati di circa il 300%. In Europa, Germania, Francia e Regno Unito hanno diminuito l’export in maniera sostanziale, mentre l’Italia lo ha aumentato del 22%. I nostri principali clienti sono India, Turchia, Pakistan e Afghanistan. A livello internazionale, l’approvazione del Trattato ha giustamente suscitato l’entusiasmo da parte di molti, ma adesso arriva la parte più difficile. Perché il Trattato divenga vincolante, è necessario che almeno 50 Paesi lo ratifichino. Al momento, solamente 8 Paesi hanno già depositato formalmente la ratifica. La più importante dal punto di vista diplomatico è quella che si attende dagli Stati Uniti. L’amministrazione Obama è decisa a continuare sulla strada della ratifica, ma l’approvazione da parte del Congresso sta incontrando notevoli difficoltà.L'azione di lobbying della National Rifle Association e di altre rappresentanze imprenditoriali è, purtroppo, incisiva. Poche settimane fa un gruppo bipartisan di 50 senatori ha inviato una lettera al presidente Obama e al segretario di Stato puntualizzando che il Trattato non rispecchia l’interesse nazionale americano e che si basa su categorie giuridiche che gli Stati Uniti non riconoscono. Questa iniziativa ha fatto ritenere a molti osservatori che l’amministrazione Obama non riuscirà a condurre in porto la ratifica. Al contrario, il presidente e il suo gabinetto sono convinti di riuscire in un’impresa che appare titanica ma che può godere dell’entusiasmo generato dai successi diplomatici conseguiti da quando John Kerry ha sostituito Hillary Clinton alla guida della politica estera. In Europa, la situazione appare meno incerta e le ratifiche sono attese in tempi brevi. Una volta che i paesi membri dell’Ue avranno completato le procedure interne di ratifica, sarà necessaria la decisione favorevole di deposito da parte del Parlamento europeo. L’Italia è stata tra i primi paesi a completare l’iter interno di ratifica e a promulgare la legge di ratifica il 15 ottobre. Nel momento in cui il Trattato entrerà in vigore, gli effetti che possiamo aspettarci sono diversi. In primo luogo vi sarà una diminuzione globale dei volumi scambiati nel breve periodo per alcuni Paesi esportatori.
Nel contempo, alcuni Paesi che non aderiranno al Trattato potranno godere di un vantaggio competitivo. Esso comunque dovrebbe essere di misura modesta in virtù del fatto che i Paesi non aderenti non riusciranno ad adeguare la propria capacità produttiva in un tempo breve. L’industria militare necessita di sostanziali investimenti fissi che nel breve periodo non sono facilmente realizzabili. In virtù di questo fatto, è probabile comunque un aumento di prezzo per molte transazioni. In ultimo, la contrazione dell’offerta, gli aumenti di prezzo e una maggiore trasparenza e tracciabilità dovrebbero costituire una prevenzione efficace a massicce importazioni da parte di regimi dittatoriali, stati canaglia o signori della guerra. Il Trattato, per quanto universale e di rilevanza storica, presenta anche criticità e aspetti problematici da approfondire. In primo luogo, esso pone a molti Paesi un’esigenza di riforma istituzionale. Infatti, uno dei principi del Trattato è che i singoli Paesi siano responsabili dei flussi di armi. In Europa, in molti casi le imprese esportatrici di armamenti sono di proprietà pubblica. Questo pone un significativo problema di controllo. Gli Stati, da un lato, producono armi e, dall’altro, dovrebbero monitorare e controllare se stessi nel momento in cui le esportano. Il conflitto di interessi è distorsivo del mercato e mina la credibilità dei Paesi coinvolti. A breve sarà necessario porvi rimedio. L’unica opzione realizzabile è forse quella di un’agenzia europea indipendente con sussidiarie nazionali che svolgano il ruolo di registro delle transazioni, così come previsto dal Trattato. A questo proposito, l’Agenzia europea della difesa non sembra idonea, essendo legata ai governi.
Un’altra criticità del Trattato attiene al tipo di armamenti inclusi. Il Trattato non comprende in maniera esplicita la grande varietà dei robot armati guidati a distanza, cioè il settore dell’industria militare in vertiginosa crescita. Le stime parlano di un mercato globale attuale tra i 5 e i 7 miliardi di dollari annui destinati a raddoppiare nei prossimi anni. L’esclusione dei robot armati creerebbe una divisione netta tra un mercato tradizionale regolamentato e un mercato nuovo senza limitazioni. Un chiaro vantaggio a favore dei Paesi produttori di droni, tra cui Stati Uniti, Israele e Italia, che presumibilmente espanderanno ulteriormente questo settore militare. In secondo luogo, la mancata inclusione di robot e droni rende nulla la probabilità che la Russia accetti di ratificare il Trattato. Mosca non accetterà di porsi dei vincoli per le armi convenzionali nella cui produzione è specializzata laddove altri Paesi non intendono porsene in dispositivi ad alta tecnologia. La mancata ratifica da parte del secondo esportatore al mondo di armamenti potrebbe rendere parzialmente inefficace il Trattato. Alla luce di queste considerazioni si rende necessario da subito uno sforzo comune per sostenere la Convenzione sulle armi convenzionali che si riunirà nuovamente nel maggio 2014 per integrare la lista delle categorie di armamenti per comprendere in maniera esplicita la grande varietà dei robot armati. Questo renderà sicuramente più efficace il trattato che, una volta ratificato, costituirà in ogni caso un tassello fondamentale nella costruzione di un nuovo pensiero in merito all’importanza del commercio e delle relazioni economiche nella prevenzione dei conflitti e nella instaurazione di una pace diffusa.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: