venerdì 12 febbraio 2016
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Il diavolo come sappiamo si nasconde nei dettagli (che talvolta addirittura detta a redattori e commentatori più o meno distratti). La riforma delle Bcc contenuta nel decreto legge varato mercoledì notte dal Consiglio dei ministri era attesa da tempo. Essa accoglie gran parte del progetto di autoriforma messo a punto dal settore con un accurato lavoro contrassegnato da puntuali passaggi di consultazione con Governo (in particolare con il Ministero dell’Economia) e Banca d’Italia. Il testo contiene però, allo stato delle cose, un vulnus che rischia di essere controproducente non solo per il settore del credito cooperativo, ma anche per l’obiettivo che lo stesso Governo si è dato nell’interesse del Paese: rinforzare il nostro sistema bancario in un momento di forti turbolenze. L’elemento positivo dell’intelaiatura di fondo del decreto che recepisce il progetto di autoriforma sta nel contemperare la tutela dell’autonomia delle singole Bcc che non perdono la loro licenza bancaria e l’esigenza di rafforzare il sistema e renderlo più solido. La storia è nota. Mentre le banche di credito cooperativo di altri Paesi (Olanda, Francia, Finlandia, Canada) hanno via via proceduto spontaneamente a un’integrazione che, mantenendo maggiori o minori gradi di autonomia, ha consentito loro di far fronte comune alle nuove sfide del mercato globale le Bcc italiane sino a oggi non erano riuscite a procedere autonomamente in questa direzione. L’architettura finale della riforma prevede la nascita di una holding Spa, controllata a maggioranza dalle Bcc locali che sono legate alla holding da un patto di coesione. Il compito della holding sarà quello di realizzare un’azione di direzione e controllo, con l’obiettivo di sostenere la capacità di generare reddito e di servizio della singola Bcc ai soci e la sua funzione di sviluppo dei territori, garantendo stabilità, liquidità e conformità alle nuove regole dell’Unione Bancaria. Il grado di autonomia delle Bcc locali dipenderà dalla qualità della loro gestione e dal loro profilo di rischio. In caso di rischi maggiori l’autonomia sarà minore. Il vantaggio del nuovo assetto lo si evince in estrema sintesi dal fatto che il mondo Bcc ha come media di sistema coefficienti di patrimonializzazione eccellenti che compensano le debolezze di alcune singole banche di territorio. Economie di scala, opportunità di maggiore diversificazione dei settori in cui prestare, sistema di garanzie reciproche e meccanismi di governance che stimolano il livellamento della qualità verso l’alto sono gli aspetti migliori della riforma. Perché tutto funzioni per il meglio sono necessari due ingredienti chiave. Primo, un po’ come si chiede sempre più alla vigilanza di Bankitalia, la holding deve effettivamente riuscire a intervenire tempestivamente in caso di cattiva performance livellando la qualità verso l’alto. Secondo, la Federazione delle Bcc deve vigilare sul rispetto dei princìpi mutualistici bilanciando l’azione della holding, sebbene anche quest’ultima non possa ignorare le finalità mutualistiche tra i suoi stessi obiettivi. Ma l’oggetto del contendere che resta in piedi in attesa di conoscere i dettagli definitivi dell’articolato (dopo il passaggio finale in Parlamento) sta nell’ampiezza della finestra lasciata aperta per l’opt out, ovvero la possibilità di alcune banche del sistema cooperativo di non aderire al nuovo gruppo. A sorpresa, e all’ultimo momento, nella versione finale del decreto è spuntato infatti un fortissimo sconto per chi non dovesse aderire e puntasse a trasformarsi in banca Spa (mentre sempre all’ultimo momento viene proibita una possibile trasformazione in banca popolare). Invece di dover abbandonare le riserve indivisibili accumulate secondo fiscalità e finalità di adesione al mondo cooperativo, per singole banche e aggregazioni con una soglia minima di 200 milioni di capitalizzazione sarebbe possibile, in base a quanto è emerso, portarle con sé pagando un 20% del loro valore nominale all’erario. Le banche cooperative non sono un cimelio del passato. Il nostro sistema ne ha terribilmente bisogno se è vero che nel suo recente intervento al Forex il governatore Visco ha dovuto rilevare che purtroppo il segmento del credito bancario alle piccole e medie imprese non è ancora ripartito. In un contesto finanziario difficile con requisiti patrimoniali sempre più severi, e banche orientate a massimizzare la ricchezza creata per gli azionisti, c’è assoluto bisogno per colmare questa lacuna di un sistema forte di banche di territorio con la specifica vocazione di servire questo fondamentale segmento produttivo del Paese. Non è un caso se le Bcc hanno il 7,2% della quota di mercato dei prestiti nel Paese, ma ben il 22,5% di quelli alle imprese artigiane. Il premier Matteo Renzi ha più volte auspicato un sistema fatto di banche di maggiori dimensioni e patrimonialmente solide. Con le novità annunciate sull’opt out , si aggrava il rischio di selezione avversa e si tentano gli istituti migliori (o che divengono più 'appetibili') a uscire dal sistema cooperativo. Siamo certi che il Governo, che vive giorni difficili nell’incubo delle 'bad bank', non vorrà fare l’autogol di crearne di nuove di zecca. La disponibilità a considerare e riconsiderare con attenzione l’impatto di una scelta delineata in prima battuta, e che appare fuori centro, è perciò una buona notizia da far maturare rapidamente e definitivamente nell’iter del decreto.
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