giovedì 5 dicembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Gentile direttore,
le invio queste righe per partecipare anch’io alla vostra "festa di compleanno". I 45 anni di "Avvenire", sui quali ha richiamato l’attenzione col suo editoriale, meritano molti auguri e ringraziamenti, perché il suo giornale sollecita – con una assiduità non molto frequente, nell’informazione italiana – noi lettori ad allargare l’orizzonte, ad alzare lo sguardo oltre le vicende di casa nostra, a capire le radici di mutamenti epocali che troppo spesso liquidiamo con la comoda e superficiale etichetta dell’«emergenza». Penso al fenomeno delle migrazioni, sul quale tante volte ho avuto occasione di incontrarmi con voi nella mia precedente attività; oppure alle guerre dimenticate nei Paesi lontani, alle persecuzioni, agli sconvolgimenti climatici che cogliamo solo quando diventano disastri dentro il nostro cortile. Ma anche nella cronaca italiana è stata preziosa la tenacia con la quale per lungo tempo, quasi in solitudine, avete seguìto questioni cruciali come il dilagare del gioco d’azzardo o l’avvelenamento della cosiddetta «Terra dei fuochi», che soltanto ora cominciano ad occupare il posto di rilievo che meritano nel dibattito politico-giornalistico. E poi c’è, nelle sue parole di ieri, un riferimento che sento particolarmente importante anche per la funzione che oggi ricopro. Saper «ascoltare la foresta che cresce», oltre a raccontare doverosamente «l’albero che cade», è un obiettivo di straordinaria rilevanza nella delicata fase politico-istituzionale che il nostro Paese attraversa. «L’albero che cade» gode di una grande fortuna mediatica, e basta accendere la tv per accorgersene. «La foresta che cresce» – che sta crescendo anche nell’Italia di oggi, a saperla vedere – fatica a farsi ascoltare, perché spesso non alza la voce, perché «non fa audience», perché «good news, no news», secondo una logora massima dell’informazione che in tempi di crisi, invece, va rovesciata: «good news, real news»: le buone notizie sono notizie vere. Ma in molti lavorano, lavoriamo, perché il futuro – l’Avvenire – sia della foresta.
Laura Boldrini - Presidente della Camera dei Deputati
Il suo augurio e questa serena e forte condivisione, gentile signora Presidente, sono un bel regalo. Inatteso, lo ammetto, e dunque più prezioso. Lei sottolinea ciò che unisce il nostro sguardo e il nostro impegno ai suoi e a quelli di «molti» altri. Ma questa è la forza dei grandi valori e delle visioni davvero profonde e coinvolgenti, ma anche del semplice gesto di chinarsi sulla vita vera delle persone vere: avvicinano anche coloro che si credono e si pensano distanti e magari, su questioni non piccole, effettivamente lo sono. Avvicinano per generosa e pura «attrazione», come ci insegna Papa Francesco. E per inevitabile condivisione di quella basilare «grammatica dell’umano» che la Chiesa italiana non si stanca di ricordare a tutti. Viviamo tempi duri e belli, gentile Presidente. E spesso penso e dico che c’è toccato in sorte di sperimentare le fatiche di un aspro dopoguerra, mentre una feroce guerra dai molti fronti aperti purtroppo continua. C’è chi depreda e distrugge, ma «molti» e in molti modi seminano e ricostruiscono. E in questo gran cantiere ci sono necessarie tutte le possibili parole comuni e tutta la possibile chiarezza per rispettare e servire la comune umanità. Dobbiamo saperle conservare e dobbiamo sperare e lavorare per trovarne di nuove, magari scoprendo che tra le più sagge e liberanti ci sono quelle di radice più antica, frutto del grande amore di un Dio che s’è fatto uomo fino a morirne e fino a sconfiggere la realtà e la logica della morte. La saluto, gentile Presidente, e la ringrazio di avere a cuore, proprio come noi, le buone notizie, l’Avvenire della «foresta che cresce». 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI