sabato 7 settembre 2013
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Da una parte Marilia, bella e disinvolta ragazza brasiliana, 29 anni e un figlio che le cresceva in grembo. Era felice di aspettare quel bimbo dal suo fidanzato – racconta oggi la madre della ragazza –, «lui» le aveva promesso che si sarebbe preso cura di lei e del bambino. Invece – sostengono gli inquirenti – «lui» le ha messo le mani attorno al collo e ha ucciso: non della bella hostess voleva disfarsi, ma di quel figlio inopportuno, venuto al mondo senza esserne richiesto. L’uomo, infatti, era già sposato e padre di due bambine «regolari», l’ultima nata solo da due mesi. Come si leva di torno un feto ingombrante? Zero vale la sua vita, meno di zero quella di sua madre: basta sopprimere il grembo in cui sta crescendo.
Ma dall’altra parte c’è Anna, romana, 35 anni e anche lei ha il futuro che le cresce dentro, un figlio di cui si è accorta due mesi fa. Lo stesso giorno in cui l’uomo che ama le sbatte in faccia la sua seconda vita, rivela di avere già una moglie e un figlio e di non volerne altri, ma prima di andarsene ha un ultimo consiglio: abortiscilo. E Anna ci pensa davvero, si sente sola, tradita, tutto ciò in cui credeva si è dissolto in un istante. Il confine tra la vita e la morte è labile in certi casi, basta una parola buona o un’occhiata cattiva per far pendere la bilancia da una parte o dall’altra, e Anna chissà perché prende carta e penna per cercare comprensione dove sa che la troverà... «Non so come mi è successo – ha raccontato ai media di mezzo mondo –, ero disperata e ho pensato di scrivere al Papa».
Ce lo ha ricordato tante volte, Francesco, la disperazione non appartiene ai cristiani, soprattutto ai giovani ripete di non lasciarsi rubare la speranza, e lo ha ripetuto anche ad Anna un pomeriggio di qualche giorno fa, sciogliendo le sue angosce come ghiaccio sotto il sole d’estate: «Non sei sola», le ha telefonato. Eccola la parola buona che restituisce l’autostima e la forza per farcela. Anna gli ha aperto il cuore, ha parlato delle sue paure, «sono ragazza madre, mio figlio non avrà un papà, me lo battezzeranno?». Il buon padre ha ascoltato e consolato, di sicuro ha anche sorriso: «Tutt’al più lo farò io». Nascerà ad aprile e si chiamerà Francesco.
Due feti, si dice. In realtà due bambini, e due destini così diversi. Le loro vite in questi giorni si incrociano sulle pagine degli stessi giornali, uno liquidato nella cronaca nera come «causa» di un feroce omicidio, l’altro raccontato nelle pagine (rare) delle belle notizie, delle storie a lieto fine. Sono due figli dei nostri tempi, entrambi rifiutati prima ancora di venire al mondo, destinati dai loro padri a morire, uno per aborto l’altro per omicidio (sempre che ci sia distinzione). Vittime incolpevoli, uno ha sentito come ultimo suono di questa esistenza le grida di sua madre e di suo padre echeggiare ovattate prima del definitivo silenzio
 L’altro la carezza del Papa, un padre vero, capace di restituirgli tutto l’amore che gli era stato negato. «Mi ha riempito il cuore di gioia quando al telefono mi ha detto che ero coraggiosa a tenere il mio bambino», racconta Anna, che ha trovato la forza di non abortire e grazie a Francesco ha capito che ci sono anche uomini veri: «Spero che la mia storia sia da esempio a tante donne che si sentono lontane dalla Chiesa solo perché hanno trovato l’uomo sbagliato». Non esiste il «sacramento della dogana pastorale», aveva detto il Papa a maggio a Santa Marta ammonendo tutti i cristiani dall’essere «controllori della fede», e come esempio aveva proprio immaginato la storia di una ragazza madre, magari disprezzata per questo, forse persino allontanata il giorno del battesimo: «Ma questa ragazza ha avuto il coraggio di non rinviare suo figlio al mittente!», aveva alzato i toni. Come ha fatto Anna. Come avrebbe fatto anche Marilia.​
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