martedì 30 luglio 2013
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La pioggia battente di emozioni, parole, imma­gini, abbracci, sorrisi e lacrime che è caduta co­piosa sulle giornate di Papa Francesco in Brasile ci metterà del tempo a depositarsi come un ricordo ca­ro nel fondo della memoria dei milioni di persone che vi hanno preso parte dal vivo e dell’immenso po­polo che in tutto il mondo le ha seguite grazie ai me­dia. Ma già ora il mosaico composto dalle mille tes­sere delle 'Giornate di Rio' più che a una foto ricordo assomiglia a una road map.È come il punto di ri­partenza di una bella strada che si srotola all’oriz­zonte, su cui camminare. Perché queste non sono state 'solo' le giornate dei giovani, ma l’epifania, il disegno di tutta la Chiesa di Francesco. Questo è stato il 'sentire' del Papa fin dall’inizio, fin dal pri­mo voluto gesto di 'ritorno' ad Aparecida, cuore della Chiesa. Un sentire sottolineato da due incon­tri ecclesiali conclusivi e 'paradigmatici'. La strada che Papa Francesco ha indicato nelle gior­nate 'speciali' del Brasile (ma lo stesso fa a Roma, nella trama dei giorni ordinari scandita dalle Mes­se quotidiane a Santa Marta) è quella dell’avventu­ra cristiana vissuta e riproposta nei suoi termini e­lementari.Lo spettacolo che ha commosso tutti, e incuriosisce il mondo, è quello sempre nuovo del Vangelo vissuto sine glossa. Quello dello stupore di­rompente e dell’allegria contagiosa che scattano quando si sperimenta che Gesù ci vuole bene e la sua misericordia abbraccia ogni peccatore. Questo ha mostrato Francesco. E ha ripetuto a tutti che sul­la strada bella del Vangelo non s’inizia a cammina­re e nemmeno si va avanti per sforzo o per applica­zione propria.Il primo passo e ogni passo succes­sivo lo si compie per attrattiva. Tutto può iniziare so­lo da lì. Perché «Cristo stesso ti attira e ti porta in braccio col suo perdono». «La via di Dio è l’incan­to, il fascino», ha detto sabato nel suo incontro con i vescovi brasiliani, aggiungendo che anche «la mis­sione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro».A una simile avventura sono chiamati tutti, e tutti possono venire. Tutti gli uomini così come sono, con le loro fragilità e debolezze. Non piccole con­greghe di iniziati con le carte in regola, ma le mol­titudini dove ognuno è un tesoro più prezioso di tutti i Pil del mondo, e di cui erano figura le folle fe­stanti e commosse che hanno assediato la Jeep e l’utilitaria papale nei giorni di Rio. Papa Bergoglio ha parlato ai giovani, li ha paragonati alle «pupille degli occhi», ha esaltato il dono e lo spettacolo im­paragonabile della gioventù dimentica di sé, dei mi­lioni di ragazzi e ragazze a cui ha riproposto la vit­toria, «più grande della coppa del mondo», pro­messa da Cristo: una vita «feconda e felice e un fu­turo con Lui che non avrà fine, la vita eterna».Nel­le parole e nei gesti di Francesco le giornate di Rio non si sono mai ridotte a una kermesse giovanili­sta, a un momento magico o, secondo certe lettu­re, un parco giochi riservato su base generazionale. I riferimenti agli anziani, alle donne – senza le qua­li anche «la Chiesa rischia la sterilità» – e il richiamo ai problemi che i ragazzi si trovano a affrontare – a partire dalle difficoltà a trovare un lavoro – hanno sempre tenuto desta la percezione della realtà con­creta e del destino comune che lega tutte le gene­razioni nella società del mondo globale.Nel rilanciare la dinamica con cui la redenzione di Cristo può essere riproposta e sperimentata nel tempo presente, Papa Francesco ha delineato co­me in un affresco e con parole potenti anche la funzione che spetta alla Chiesa in tale mistero di salvezza e nella società. Le parole e le immagini chiave che l’attuale successore di Pietro aveva fi­nora disseminato in omelie e interventi a braccio hanno trovato espressione organica nei due di­scorsi ai vescovi brasiliani e all’incontro con i rap­presentanti del Consiglio episcopale latinoameri­cano (Celam). Interventi calibrati per ripetere e in­dicare nuovamente con immagini originali e sua­denti che la Chiesa non si ringiovanisce con i lif­ting o le operazioni di ingegneria istituzionale, ma solo riabbracciando la sua natura di Mysterium Lu­nae, realtà che cammina nella storia splendendo – come accade, appunto, alla Luna – non di luce propria, ma solo della luce di Cristo...Ogni volta che nel corpo ecclesiale si eclissa questa auto-coscienza già affermata dai Padri dei primi secoli cristiani, ha detto Papa Bergoglio, la Chiesa pretende di costruirsi da se stessa, e così «diventa ogni volta più autoreferenziale e si indebolisce la sua necessità di essere missionaria. Smette di essere Sposa per finire con l’essere Amministratrice; da Serva si trasforma in 'Controllore'». Così, lascia intendere Papa Bergoglio, a volte anche apparati e iniziative d’impianto ecclesiale finiscono per fare velo e ostruzionismo al lavoro della grazia. Mentre nell’ora presente la passione traboccante «della Chiesa per il suo Sposo» si misura non nella produzione di ipotetici anatemi o progetti di «riconquista», ma nel saper «uscire nella notte» dove vagano gli uomini per «camminare assieme a loro», ridando cittadinanza a «tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo». La Chiesa di Francesco è chiamata a «intercettare la strada» dei nuovi discepoli di Emmaus, «ad aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori». Con queste parole di salvezza e redenzione sarà chiamata a misurarsi tutta la vita della compagine ecclesiale nei prossimi anni. La «conversione pastorale» richiamata da Papa Bergoglio potrà declinare in chiavi inedite quella predilezione per i poveri e per gli ultimi che qualche accigliato intellettuale europeo si ostina ancora a definire «pauperismo», e che altro non è che il riflesso più splendente della 'legge nuova' del Vangelo. Gli incontri che Papa Francesco ha voluto realizzare a cornice della Gmg (quelli con i tossicodipendenti nell’Ospedale 'Sao Francisco', con i favelados di Varghina, con i giovani detenuti) disegnano al presente la mappa della predilezione che da sempre la Chiesa riconosce ed esalta nelle opere di misericordia spirituale e corporale. Nelle carceri e nelle favelas brasiliane, come in tutto il mondo, il miracolo che più rende evidente a tutti la gloria di Dio è quello delle vite deragliate che vengono redente, dei cuori spezzati che ricominciano a battere, dei figli che sembravano perduti, e sono tornati a vivere. Sono loro i tesori più preziosi di una Chiesa che è e sa di essere amica degli uomini. Che si offre al mondo come preziosa alleata per trovare antidoti anche a quella «cultura dello scarto» descritta da Papa Bergoglio nei suoi discorsi brasiliani come feroce distillato dei processi di disumanizzazione in atto nel cuore delle società avanzate. Non mancheranno problemi. Ci sarà da faticare. Ma di certo, la direzione indicata a tutti da Papa Francesco anche con le sue giornate brasiliane appare chiara. Ed è bella, la strada.​
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