domenica 22 novembre 2009
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Caro Direttore,sul cruciale e doppio problema dell’Italia che invecchia e dell’assistenza agli anziani ormai divenuta un’emergenza sociale, vorrei segnalare un’interessante iniziativa – tenutasi nella mia città e in altri Comuni del Veneto orientale –: il progetto «PrendersiCura». Si è trattato in sostanza di una serie di corsi sull’assistenza a domicilio, aperti a familiari e badanti. Sono stati un’ottantina i partecipanti di origine straniera, provenienti soprattutto dall’Est Europa, oltre che da Marocco, Nigeria, Brasile, Albania. Finanziata dalla Conferenza dei sindaci e gestita da una cooperativa, l’iniziativa didattica ha visto anche la presenza di una équipe di mediatori linguistici, presenti in aula nelle vesti di «facilitatori» nell’acquisizione dei contenuti da parte degli stranieri. Nei corsi si è cercato di affrontare i diversi aspetti del lavoro di cura e assistenza: dopo una introduzione sul funzionamento della rete dei servizi sociali (sistema all’interno del quale gli assistenti devono sapersi collocare consapevolmente), si è approfondita la dimensione della comunicazione, fondamentale per il ruolo dell’assistente all’interno della famiglia ospitante. Insomma si è cercato di insegnare che il lavoro di badante non è solo una mansione, ma è un «pre-occuparsi», un «aver cura di», un intessere una relazione di aiuto. Mi sembra un approccio molto opportuno, sulla strada della preparazione e – non da meno – dell’integrazione di queste persone immigrate.

Luigi Drigo, Portogruaro (Ve)

L’assistenza agli anziani è un problema sempre più pressante per il nostro welfare e quindi ogni iniziativa volta a migliorarla, affrontandone le criticità, è da salutare positivamente. Da tempo le cosiddette «badanti» sono divenute presenza indispensabile – un vero e proprio ammortizzatore sociale – in un’Italia dove negli ultimi trent’anni gli ultra 75enni sono triplicati, e dove si prevede che i centenari cresceranno di 20 volte entro i prossimi quarant’anni. C’è da ritenere che sarà sempre più così, visto che, a dispetto di una aspettativa di vita sempre più lunga, i servizi pubblici sono, sempre più spesso, messi alle corde dalle ristrettezze dei bilanci pubblici. Diversamente da quanto accade in altri Paesi dell’Occidente – in particolare nell’Europa del Nord, dove le strutture di ospitalità e assistenza alla tarda età sono molto sviluppate –, in Italia la cura dei vecchi rimane affidata essenzialmente alle famiglie, che quando non riescono a coprire le necessità (e dispongono di sufficienti risorse) finiscono per ricorrere all’ausilio degli assistenti domiciliari. Si tratta dell’«aggiornamento» di un antico e solido costume di solidarietà (e di «reti» domestiche), peculiare del nostro Paese, che da un lato preserva gli anziani da ospedalizzazioni e ricoveri troppo facili, ma dall’altro impone alle famiglie difficoltà pratiche ed economiche che devono, quasi sempre, affrontare da sole. Siamo, insomma, di fronte a una sorta di «welfare fai-da-te» che sconta i rischi dell’improvvisazione e dell’inesperienza di taluni operatori. Ben vengano perciò esperienze formative del tipo da lei descritto, caro Drigo, le quali, alla qualificazione «operativa» rispetto al servizio svolto, aggiungono anche concrete opportunità di integrazione: un dato di importanza niente affatto secondaria. Un saluto cordiale.
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