lunedì 21 settembre 2009
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«Attacchi inaccettabili»: così l’Associazione nazionale magistrati amministrativi definiva ieri le critiche arrivate da politici di destra e di sinistra dopo la sentenza del Tar del Lazio sull’atto di indirizzo del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, quello che, nato dalla vicenda di Eluana Englaro, vietava di interrompere alimentazione e idratazione ai disabili. Pur ammettendo la possibilità di essere criticati, i giudici hanno invitato a leggere meglio la loro sentenza, che ritengono estranea a pregiudizi ideologici, e tantomeno tesa a condizionare la politica, come invece avevano evidenziato diversi parlamentari. I magistrati sostengono di avere solo applicato le norme vigenti, e soprattutto che «non sono entrati nel merito della controversia». Ma è veramente difficile dar loro ragione dopo aver letto il testo della sentenza, alla luce anche di come la gran parte dei media ha trattato la faccenda, semplicemente ribaltandone l’esito rispetto alla realtà.Come forse si ricorderà, il Movimento difesa del cittadino – associazione di area radicale – aveva fatto ricorso al Tar del Lazio per annullare l’atto di indirizzo firmato da Sacconi durante la vicenda di Eluana. Il Tar ha riconosciuto di non essere legittimato a giudicare: il ricorso dunque risulta respinto, e l’atto di indirizzo resta valido.Ma nell’affrontare la questione è stata usata una modalità inusuale, tanto che gli stessi giudici se ne giustificano nel testo della sentenza: la prassi corrente, spiegano, vorrebbe che «quella attinente la giurisdizione deve precedere ogni altra questione», e cioè che innanzitutto si stabilisca se il tribunale interpellato – in questo caso il Tar – sia legittimato a giudicare. Ma in questo caso i giudici hanno deciso di «seguire un ordine inverso»: affrontare in premessa il merito della controversia, esprimendosi sull’atto di indirizzo, per poi trattare – ma solo alla fine – il problema della legittimità del tribunale a esprimersi.In altre parole: anziché limitarsi a decidere se il Tar avesse titolo per esaminare il caso ed entrare poi eventualmente nel merito, i giudici hanno scelto di discutere l’atto di Sacconi per poi andare a vedere, nelle conclusioni, se era loro compito giudicare. Come dire: prima parlo, poi vedo se potevo farlo. La conclusione è stata una sentenza di tredici cartelle, sostanzialmente a favore del ricorso e contro l’atto di indirizzo, e concluse però con l’inammissibilità del ricorso stesso, che è stato appunto rigettato. I giudici hanno quindi colto l’occasione per mettere nero su bianco la loro opinione, rispettabile ma solo personale: sono cioè entrati impropriamente nel merito della controversia esprimendosi su idratazione e alimentazione, interpretando a rovescio l’articolo 25 della Convenzione Onu sui disabili, quello che vieta di sospendere la nutrizione assistita e che – ricordiamolo – fu introdotto dopo la morte per fame e per sete di Terry Schiavo, la giovane americana in stato vegetativo, proprio per evitare che casi come il suo si ripetessero. Un’intrusione discutibile, quella dei giudici amministrativi, che non poteva che attirarsi critiche per la modalità con cui si è svolta: ci chiediamo cosa avrebbero scritto, se fossero stati legittimati a farlo.Aggiungiamo che la gran parte dei giornali ha riportato, con titoli enfatici, le considerazioni personali dei giudici contro l’atto di indirizzo, "dimenticando" in molti casi di spiegare che il ricorso era stato respinto e che l’atto di Sacconi è ancora valido (ma c’è persino chi ha scritto che il ricorso era stato accolto). Il risultato è un’enorme confusione nell’opinione pubblica, sempre più frastornata da notizie e commenti che dicono tutto e il suo contrario.Vista l’aria che tira negli ultimi mesi, viene da pensare che si stia scambiando la libertà di informazione con l’anarchia: che ognuno scriva pure quel che vuole, quello che gli conviene. Tanto, nessuno paga pegno. Salvo gli italiani, che capiscono sempre meno la vera posta in gioco.
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