martedì 10 novembre 2009
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La prolusione del cardinale Bagnasco alla 60ª assembla della Cei aperta ieri ad As­sisi ci offre un confortante e attraente eser­cizio del giudizio di fede sulla coscienza ec­clesiale, sul suo compito storico, e sulla vita civile del nostro Paese. Una Chiesa sempre più consapevole dei suoi propri scopi è con ciò stesso aiuto, offerto alla Nazione in cui vi­ve, a cogliere ciò di cui ha bisogno per esse­re se stessa. Così facendo, «la nostra Chiesa non presume di sé, punta solo a essere fede­le » e perciò a «risultare – come il Vangelo e­sige – lievito e luce per la società». La Chiesa non presume, perché non ha come scopo se stessa, ma la comunicazione con parole e fatti dell’evento di salvezza per gli uomini: quanto più è fedele al suo mandato, tanto più aiuta gli uomini a comprendere se stes­si, la loro umanità, le condizioni stesse del­la loro socialità. Un termine ricorrente della prolusione è «gente». A proposito del recente Sinodo sul-­l’Africa, il presidente della Cei afferma che «il dinamismo ad gentes resterà un dato qua­lificante l’intera nostra pastorale, una visio­ne di Chiesa che si traguarda sempre con gli altri, e mai senza di loro»; così come «dal pun­to di vista etico-culturale desideriamo che i nostri cristiani si sentano cittadini del mon­do, corresponsabili della sorte degli altri » . L’Anno Sacerdotale in corso ricorda, a sua volta, che «i nostri sacerdoti sono mandati a tutti, destinati a tutti [...]», perché «essere pre­te è la vocazione di chi sta accanto alla pro­pria gente come testimone di misericordia». La Chiesa, dunque, sta presso la gente, pro­ponendole una misura larga e profonda del­la vita, con cui essa possa «imparare a gode­re realmente» della vita stessa e a protegger­si da immagini di una «cultura irreale» e a­lienante. All’occasione della nuova edizione italiana del Rito delle Esequie, la prolusione s’intrattiene sull’impoverimento dell’idea della morte, la sua riduzione privatistica, la sua sparizione sociale, in nome di un’imma­gine della vita «falsa» e «irreale», che chiude la cultura sociale ai grandi interrogativi e a ogni prospettiva di senso. La comunità cri­stiana non può avvallare una tale cultura, perché «la luce della fede – dice Bagnasco ri­ferendosi al primo discorso di Benedetto X-VI all’episcopato italiano – ci fa comprende­re in profondità un modello di uomo non a­stratto o utopico, ma concreto e storico, che di per sé la stessa ragione umana può cono­scere » e che la Chiesa lo ricorda non «per l’in­teresse cattolico » , ma per amore all’uomo creatura di Dio. È con questo criterio che la Chiesa intervie­ne nelle grandi questioni etiche oppure si preoccupa di posizioni assunte da certa bu­rocrazia europea – come nella recente sen­tenza sul crocifisso –, che non badando al valore e allo spessore di tradizioni religiose e culturali, finisce in realtà per allontanare «sempre più dalla gente» l’Europa. Ancora, e con particolare attenzione, il presidente dei vescovi italiani si occupa del diritto della «gente con i suoi problemi [...] di cogliersi al primo posto» rispetto a un dibattito nazio­nale in cui sembra prevalere invece una pre­giudiziale contrapposizione e una conflit­tualità sistematica, che rispondono ad altre preoccupazioni e ad altri interessi. Con vigore e lucidità viene ricordato l’indispensabile pa­trimonio di «valori morali autentici e solidi [...] che formano l’anima di un popolo, la sua identità profonda», «quel senso di apparte­nenza che agisce sull’intelligenza e sul cuo­re, creando cultura e storia. E consentendo a ciascuno di sentirsi parte di un 'noi'». U­na Chiesa, dunque, che proprio svolgendo la sua peculiare missione – e non fingendo­si una «religione civile» – è amica della gen­te, contribuendo alla sostanza che la rende un «popolo», non un povero «incrocio di de­stini individuali».
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