venerdì 26 giugno 2009
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Nei primi anni ’90, quando la cloaca di Tangentopoli fu scoperchiata dal ciclone di Mani Pulite, ci parve d’esserci tolti finalmente dalla pelle una rogna antica divenuta dura come una scorza. Corruzione ambientale, fu detta, cioè una specie di cancro indolore, paesaggio dell’ordinario mercimonio fra potere e denaro. Per poco sognammo di esserne liberati per sempre, intanto che una rivoluzione politica apriva il panorama di una "seconda repubblica".Non c’è voluto molto tempo per capire che il sogno stava sfiorendo, che un Termidoro avrebbe riportato le acque burrascose a ricomporsi in bonaccia, e la polvere dell’esplosione della fogna a ricadere un po’ per volta a ricomporre il grigio. Il fatto è che un ciclone giudiziario non bastava, non bastava una rivoluzione politica: occorreva una rinascita morale.Questa mancò, questa non c’è. Ieri mattina la Corte dei Conti ci ha avvertito che la corruzione è ancora una piaga che provoca un danno di 50-60 miliardi di euro all’anno. E la stessa cosa l’aveva detta l’anno scorso, e la stessa cosa era stata saputa e ridetta anche per gli anni  prima; e risalendo il tempo ancora, la corruzione "scoperta" (cioè passata per denunce e processi) risulta pressoché stabile negli ultimi quattro anni, con 3.000 reati all’anno nel libro nero.Ma poi i reati sono solo l’epifenomeno della corruzione. La corruzione è concetto morale più grande, più grande del codice penale inchiodato al "minimo etico". La corruzione non si legge più alla stregua del cittadino concusso, del funzionario comprato, del favore venduto, degli appalti truccati, della mazzette scambiate, del tradimento. Corruzione è anche quanto sfugge alle maglie dei codici, ciò che dribbla gli scogli del peculato e della malversazione ma sa gestire benissimo il "traffico d’influenza", l’olio che lubrifica gli ingranaggi, la raccomandazione, lo scambio di favori senza busta e retrobusta ma con altri favori, il modo di arricchire e di arricchirsi con accesso a finanziamenti e provvidenze che sarebbero dettate per l’aiuto dei poveri, trasformando il pane dei poveri nella preda divorata dai furbi.Non senza ragione la Convenzione mondiale contro la corruzione, approvata  nel 2003 dall’assemblea generale dell’Onu, chiama corruzione non solo le tangenti, ma anche i favori, i privilegi, le opacità dei finanziamenti, il riciclaggio; e poi aggiunge le corruzioni nel "settore privato", e questo diventa una specie di shock etico, fuori dei codici. Per chi intende la tensione morale di questa assise del mondo, la corruzione è il tradimento dell’onestà. Vien da pensare che si può corrompere qualsiasi cosa, a questa stregua; persino un campionato di calcio (ricordate Calciopoli?), o magari una qualsiasi banale amministrazione di condominio.L’Italia, con sei anni di ritardo, si è messa solo due giorni fa a ratificare la Convenzione Onu, con un voto al Senato. Il ritardo fa impressione, perché intanto nella graduatoria della corruzione, come percepita dalla gente (vedi Transparency International) l’Italia ha ottenuto un brutto voto costante, simile a quello dei Paesi in via di sviluppo. Che vergogna. La costanza della vergogna nell’alternarsi di destra e sinistra rende la rampogna costante. Diciamo basta, cambiamo. Cambiamo a cominciare da noi, è chiaro, ma rammentando con fermezza manzoniana ai potenti di ogni turno che «la vita non è un peso per molti e una festa per pochi ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto».
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