sabato 6 settembre 2014
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Nell’agenda settembrina di papa Francesco spiccano due viaggi ponte tra un’intensa estate e un “autunno caldo”, che si preannuncia ugualmente fitto di appuntamenti (il Sinodo sulla famiglia e la beatificazione di Paolo VI, tra i più importanti). Non inganni, però, la brevità temporale delle due visite: lo spazio di un mattino sabato 13 settembre a Redipuglia per commemorare il centenario dell’inizio della Grande Guerra e pregare per i morti di tutti i conflitti; e domenica 21 settembre in Albania. Questi due viaggi sono infatti in diretta continuità con il lungo itinerario che in agosto ha portato il Papa nella Corea del Sud e con tutte le iniziative di pace intraprese nel corso del pontificato. Da quando è stato eletto, Francesco ha dimostrato in molti modi quanto il tema della pace gli stia a cuore. E, da ultimo, ha colpito l’immagine – neanche troppo metaforica – usata nella conferenza stampa a bordo dell’aereo da Seul a Roma, secondo cui oggi è in atto una «terza guerra mondiale, ma a pezzi». Ecco, dunque, che i due viaggi di settembre appaiono come una sorta di continuazione del discorso, anche se in forma diversa. La tappa nei sacrari austroungarico e italiano della prima guerra mondiale, oltre a ribadire il mai più a ogni «inutile strage» – divenuto da Benedetto XV in poi una costante nell’insegnamento dei Papi e della Chiesa dell’ultimo secolo – costituisce un potente invito alla riflessione. Al termine dell’immane bagno di sangue di quel primo conflitto planetario, l’umanità restò attonita per il livello di crudeltà raggiunto nel corso dei combattimenti (si pensi solo all’impiego dei gas tossici). Un livello che però sarebbe stato superato – e di molto – durante la seconda guerra mondiale e con l’orrore della Shoah. E oggi? Possiamo dire di avere imparato la lezione? Papa Bergoglio ha detto con chiarezza di no. «Dobbiamo fermarci e pensare al livello di crudeltà al quale siamo arrivati. Il livello di crudeltà dell’umanità in questo momento fa piuttosto spaventare», ha sottolineato nella conferenza stampa “aerea” del 18 agosto. E le immagini delle decapitazioni, delle stragi di civili, dei bambini morti sotto le bombe, che tivù e internet trasmettono quotidianamente, suonano come una dolorosa conferma alle parole del pontefice.

Questa prima visita si annuncia dunque come molto più che una semplice commemorazione e finisce per assumere il valore di un monito tanto più urgente nel momento in cui – a causa della crisi russo-ucraina – lo spettro della guerra torna ad affacciarsi anche in Europa. Il viaggio in Albania, invece, si pone sul versante delle indicazioni di prospettiva. «La presenza del Papa – ha spiegato lo stesso Bergoglio ai giornalisti – è per dire a tutti i popoli: “Si può lavorare insieme”». Anche in zone tradizionalmente travagliate come i Balcani. Un viaggio che vuole essere, dunque, un inno all’armonia, all’equilibrio, al dialogo, al rispetto reciproco. In pratica a tutto ciò che è antidoto alla violenza e alla guerra. Una sfida lucida e disarmata alle oscure trame dei fondamentalismi e dei nazionalismi. Inoltre, i due appuntamenti ci fanno comprendere in quale maniera Francesco intenda dare continuità al magistero itinerante dei suoi grandi predecessori Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le mete delle sue visite pastorali, infatti, si segnalano per la loro evidente valenza emblematica e trasmettono un messaggio già di per sé. È stato così per la Corea del Sud, porta dell’Asia, sarà così per lo Sri Lanka e le Filippine (a gennaio), altre due nazioni dove la pace è messa continuamente e duramente a rischio; e lo sarà vieppiù per la progettata visita negli Stati Uniti e per l’invito a recarsi all’Onu. Anche rispetto a questi itinerari intercontinentali del prossimo anno, i due viaggi di settembre hanno una valenza di ponte. Perché dicono al mondo che la pace parte sì dal rifiuto della guerra, alimentato dal ricordo degli orrori del passato. Ma va costruita giorno per giorno nel dialogo tra le persone, le comunità, gli Stati. Dopo «l’inutile strage» nacque la Società delle Nazioni. Dopo la seconda guerra mondiale, sorse l’Onu. Oggi, ricorda il Papa con le sue parole (al ruolo delle Nazioni Unite ha espressamente fatto riferimento in relazione alla crisi irachena) e anche con i suoi viaggi, sul piano politico è attraverso questi strumenti “multilaterali” che vanno creati gli anticorpi contro ogni conflitto.

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