mercoledì 7 gennaio 2009
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È morto in mezzo alla folla, ma da solo. Nessuno nella sala d’attesa della Stazione Centrale di Milano si è accorto che quel vecchio con gli occhi chiusi se ne era andato. Franco Mauri, clochard, conosciuto in Centrale come ' il signor Franco', a indicarne una inconsueta distinzione nel popolo dei senzatetto, è morto con estrema discrezione. Un infarto forse, un attimo nell’alba, mentre fuori nevicava a larghe falde, e i viaggiatori infreddoliti gli si accalcavano intorno, un occhio al tabellone delle partenze e uno all’orologio. Avete in mente le sale d’attesa della Centrale, con le vecchie piastrelle e i panconi di legno, e l’odore di chiuso traversato quando si apre la porta, d’inverno, da una lama tagliente di aria gelida? Si dorme qui, solo se non si ha alcun altro posto che si possa chiamare casa. Il signor Franco, dice ora il popolo della Centrale – operai, facchini, netturbini – in stazione viveva, coi suoi 69 anni. Di lui però sapevano ben poco – come per molti clochard, un muro cala sulla vita di "prima". Qualcuno dice che teneva famiglia, ma che l’aveva lasciata – dato frequente, fra i senzatetto, un fallimento di affetti alle spalle. Poco d’altro emerge di questo signore decorosamente vestito, che non chiedeva elemosina ma portava i bagagli ai viaggiatori; aspettando poi, senza sollecitarla, una mancia da poco. Uno che, nella miseria ai bordi della stazione, s’era ritagliato un suo piccolo dignitoso spazio, un angolo di sala d’attesa per la notte, e il rispetto di chi lo incontrava ogni mattina: espresso in quell’appellativo, ' il signor Franco', in un mondo in cui molti un vero nome non ce l’hanno neppure. Se ne è andato nel modo in cui viveva, senza farsi notare. Sapeva d’ essere malato? All’infermeria ai bordi dei binari chiedeva solo cure da poco. Era forse di quei clochard tanto piagati dalla vita da non sopportare più un tetto, né la sola idea di raccontare di sé? La notte dell’Epifania sulla Stazione deserta, pachidermica - il poeta Testori la chiamò ' elefantessa'. Gli ultimi treni che partono, poi attorno il silenzio della neve a attutire gli echi della città. Freddo, e settant’anni addosso. L’angolino più tiepido di quella panca dura. Il sonno, esitante e poi profondo, e poi l’alba e l’affollarsi attorno dei primi viaggiatori. Anche il signor Franco, senza saperlo, era in partenza, per molto lontano, senza nessuno a salutarlo. E il vecchio che se ne va da solo in una sala affollata sembra un’icona, in un’alba d’anno nuovo, di altre, larghe, mai confessate nostre solitudini.
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