lunedì 4 novembre 2013
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Pace e vita insieme, quasi una tautologia. Un’età dell’oro agognata dagli albori delle civiltà, tutte da sempre nostalgiche di paradisi perduti in cui il lupo viveva con l’agnello (sono mai esistiti?). Il traguardo di ogni cultura che possa dirsi finalmente civile... Eppure no, lo scriveva nel 1976 Paolo VI, «quante volte nella drammatica storia dell’umanità il binomio pace e vita racchiude uno scontro feroce dei due termini? La pace è cercata e conquistata con la morte e non con la vita; e la vita si afferma non con la pace, ma con la lotta». Succede nelle guerre, ma succede ogni volta che con la falce spazziamo via il «problema» e riportiamo «l’ordine», da noi determinato: solo così possiamo spiegarci i 40 milioni di bambini uccisi ogni anno con l’aborto (dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità), ma ancor più il silenzio sepolcrale che accompagna la loro fuoriuscita dalle sorti del mondo.Silenzio quindi pace (così crediamo), e in questo modo l’umanità più progredita dimentica il primo dei comandi ancestrali, quel «non uccidere» che, pur nel trasgredirlo, davamo almeno per scontato e che oggi non lo è più. Eppure sotto le ceneri la brace è rimasta accesa: centinaia di persone, in questi giorni dedicati ai nostri santi e ai nostri morti, si sono radunate ad Assisi, la città universalmente riconosciuta «della pace», per dirsi che è ancora possibile, per ritrovare ognuno nelle storie dell’altro l’energia vitale necessaria a sovvertire il mondo e rimetterlo in piedi. Sono i volontari dei Centri di aiuto alla Vita, attivi in tutta Italia per restare accanto alle donne in difficoltà e permettere loro, se lo vogliono, di dare alla luce il figlio che cresce in loro. Nessuna ideologia li spinge, nessun interesse personale, nessun guadagno, soltanto la certezza semplice e lampante che ogni uomo ha il diritto di non essere ucciso, all’esordio della sua vita così come all’epilogo. Solo chi non li ha mai visti all’opera può dipingerli come soldati in trincea, arroccati su princìpi severi e sordi al dolore altrui, incapaci di comprendere angosce e pronti a giudicare. Chi li ha incontrati sulle strade della vita sa bene che non dettano legge né emettono sentenze, affiancano il loro cammino a quello delle donne più sole al mondo, così sole da concepire la morte del loro stesso figlio. Donne come Marta, un aborto alle spalle per compiacere un compagno, ora nuovamente con un figlio nel grembo e un altro compagno per il quale non vuole fare lo stesso sacrificio. Ma loro sono poveri, entrambi non hanno un lavoro, la casa è una tana sconcia, come non comprendere che un figlio non se lo possono permettere? Via, un po’ di testa, è un lusso non per gente come loro, come fa Marta a non capirlo? Marta la temeraria? Finché sulla sua strada rassegnata incrocia Alessandra e gli altri del Cav, e scopre cose che mai avrebbe immaginato: che la morte di suo figlio non è ineluttabile, che esistono altre vie, che la povertà non è una colpa, e non si lava eliminando l’essere più innocente di tutta la vicenda. Così come Clarita ha scoperto che chi nell’aborto le indicava l’unica via percorribile la ingannava, che le montagne di ostacoli in fondo si potevano scalare, bastava un piccolo aiuto e questo è arrivato, insieme a un lavoro e a una stanza che ha accolto lei e la sua bambina. Come la giovane Luciana, convinta di essere uno zero: così le avevano dimostrato tutti, anche il ginecologo della madre che, avviandola all’aborto, aveva smontato quel suo puerile attaccamento a un grumo di cellule e sangue (e lei, stupidina, che si ostinava a chiamarlo figlio). Oggi è volontaria a sua volta, per «aiutare altre donne come me a scoprire il miracolo di essere uno zero... che sa dare la vita».Migliaia di persone sono e non dovevano essere, esattamente 9.887, tutti i nati nel 2012 in Italia grazie ai Cav. E gli altri? Quei 40 milioni inghiottiti ogni anno dal silenzio che qualcuno chiama «pace» o rispetto della donna? Chi placherà mai lo strazio delle loro madri? Come espieremo l’aver lasciato che le loro vite, ognuna miracolo irripetibile, occasione che gli era stata data e mai più tornerà, venissero spente? Non siamo stati noi, è vero, ma permettere che avvenga è identico a uccidere. Così come aver salvato ciascuno dei 9.887 scampati alla strage è identico a salvare ogni volta il mondo intero.
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