sabato 22 aprile 2017
Che cosa depositerà nell’urna del primo turno delle elezioni presidenziali questa Francia impaurita e nevrotizzata da «un fanatismo senza organizzazione»?
Parigi val bene
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Che cosa depositerà nell’urna del primo turno delle elezioni presidenziali questa Francia impaurita e nevrotizzata da «un fanatismo senza organizzazione» - come lo definisce con sintesi perfetta e dolorosa cognizione di causa lo scrittore israeliano Abraham B.Yehoshua -, in bilico fra la tentazione del pugno di ferro contro il totalitarismo islamico (e ogni altra minaccia a esso assimilata) accarezzata da Marine Le Pen e dal suo avversario di centrodestra François Fillon e la rassicurante promessa di una nazione attenta alla sicurezza dei cittadini, ma per nulla propensa alle derive autoritarie del centrista-anomalo Emmanuel Macron? Quali animal spirits condizioneranno il voto di fronte al vero grande dilemma francese, quella sorta di referendum sull’Europa che accomuna il razzismo prêt-à-porter del Front National con l’euroscetticismo in salsa bolivarista del leader della sinistra Jean-Luc Mélenchon: come dire, giacobini (con venature antisemite) e ultranazionalisti (inclini alle maniere forti), nemici giurati nell’ideologia ma avvinti come l’edera nel pescare consenso fra le paure e lo smarrimento dei ceti più deboli, dei giovani, degli esclusi?
In questa partita a quattro che val bene Parigi e il gran timone dell’Eliseo nulla è davvero scontato, nemmeno – tenetevi forte – il successo annunciato di Marine Le Pen.

Centristi e sinistra radicale, destra moderata e destra xenofoba si tengono per mano in questa surreale sarabande, la lenta e grave danza di corte cara al Re Sole, dove i candidati – sempre che i sondaggi offrano ancora qualche spunto di verosimiglianza – sembrano davvero a un soffio l’uno dall’altro. Con il rischio beffardo di scoprire che – come avverte l’attempato leader del Maggio francese Daniel Cohn-Bendit – «a cinquant’anni dal Sessantotto andiamo verso un ballottaggio delle presidenziali che potrebbe veder sfidarsi François Fillon per la destra e Marine Le Pen per l’estrema destra assistendo a qualcosa di surreale, e cioè a Marine Le Pen che difenderà le riforme del Consiglio nazionale della Resistenza e le conquiste sociali..»".

Ed è troppo facile profezia, oltre che irrituale e sbrigativa, quella di Donald Trump, che all’indomani dell’attentato agli Champs-Élysées pronostica una brusca virata nell’umore popolare (soprattutto per quanto riguarda gli indecisi e i molti che non avevano intenzione di recarsi alle urne) a favore di Marine Le Pen. Dimenticando – o fingendo di dimenticare – che è proprio allo scontro di civiltà che il Daesh e i suoi fanatici araldi (veri o "arruolati" post factum per opportunismo) stanno puntando.


Sotto traccia scorre lenta ma inarrestabile come un grande fiume asiatico la ormai cronica insicurezza della Francia in cerca di un’identità che ancora non trova. La stessa che i pensatori più radicali come Michel Onfray nel suo Décadence, Alain Finkielkraut in L’identité malheureuse o Michel Houellebecq con il discusso Sottomissione fotografano con compiaciuto nichilismo, non privo tuttavia di uno scandaglio che fruga spietato nelle viscere della nazione.

Peccato che questi acuti osservatori non offrano alcun realistico rimedio se non quello di assistere impotenti allo spettacolo di una società in profonda crisi.
Ma c’è un altro quesito, che è poi il più importante di tutti, a cui la Francia è chiamata a rispondere attraverso il voto di oggi e al secondo turno del 7 maggio. La domanda è: quale destino assegnare all’Europa? Vincerà il populismo intransigente, il distacco dai valori europei, Parigi seguirà Londra e si staccherà dal continente – come nel profetico romanzo di Saramago La zattera di pietra – in una deriva che prevede la chiusura delle frontiere, l’espulsione di migliaia di cittadini sospetti, l’impossibile inseguimento di una pureté ethnique cui nessuna democrazia può verosimilmente aspirare?

O prevarrà la consapevolezza che la Francia ha come compito principale, e diremmo anche morale, etico, quello di proteggere e difendere quella casa comune faticosamente costruita sulla democrazia e su quella Carta dei Diritti che (pur con vistose lacune) enuncia ed elenca i principi per noi imprescindibili di dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia? Materie, queste ultime, che nei programmi dei partiti xenofobi, populisti ed euroscettici appaiono solo con pallidi farisaici accenni. Questa è la vera posta in gioco, non altro. E chi crede di battere la paura del domani e dell’altro, il terrorismo islamista e ogni altra sfida violenta con la camicia di forza degli anacronismi nazionalisti o di raggelanti utopie sovraniste, è destinato a una rapida e cocente delusione.

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