martedì 8 gennaio 2013
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​C’è ancora qualche importante riflessione a proposito del caso – accaduto sul finire dell’anno appena concluso – del neonato trovato nel water della toilette di un McDonald di Roma, un fatto accaduto nel giorno (il 28 dicembre) in cui la Chiesa fa memoria della strage degli innocenti ordinata da Erode. Ancora oggi c’è una continua strage di innocenti: una strage nuova perché l’aborto è legalizzato e talora incoraggiato in gran parte del mondo, e perché sono numerose in aggiunta le uccisioni di embrioni generati in provetta. Ma c’è un’altra circostanza, meno nota. Prima del termine ultimo, fissato proprio per Natale, l’Italia ha infatti presentato ricorso alla Grande Camera della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo contro la decisione con cui il 25 settembre la prima Camera della medesima Corte aveva condannato l’Italia perché consente il parto in anonimato.Dicevano che la legalizzazione dell’aborto, avrebbe eliminato gli infanticidi. L’esperienza dimostra il contrario: il piccolo sopravvissuto all’abbandono a Roma è solo l’ultimo di una lunga serie di neonati buttati nei cassonetti o abbandonati in moti altri luoghi. Suscitò commozione il ritrovamento a Bari, all’inizio degli anni ’90, di Francesco che oggi sarà diventato – lo speriamo – un adulto. La commozione suggerì al Movimento per la Vita di cominciare ad aprire le "culle della vita", edizione moderna delle antiche "ruote". Oggi sono 40 in tutta Italia. All’inizio furono molto osteggiate: la ragione vera è che esse ricordano che i bambini non si devono buttare mai via, sia prima che dopo il parto, e che se una mamma disperata e sola ha paura del figlio la società deve aprire le braccia per accoglierlo. Sullo sfondo compare il dramma dell’aborto e l’immagine di un bambino non ancora nato uguale al già nato. Questo è lo scandalo che la "cultura della morte" non vuol sentire evocare, neppure da lontano. Poi è venuto il decreto sul parto in anonimato (Dpr 3 novembre 2000, n.369): la madre disperata e sola non deve né abbandonare il figlio né correre rischi per la sua vita e la sua salute. Ma la sentenza della prima sezione della Cedu è arrivata a dirci che questa legge vìola i diritti dell’uomo, in particolare il diritto di ciascuno a conoscere le proprie origini. Nella motivazione si ricordano anche le "culle della vita", travolte anch’esse dal giudizio di illegittimità. E i diritto alla vita del bambino? La sentenza non ne fa la benché minima menzione. Perciò esso non entra neppure in un giudizio di bilanciamento tra i vari diritti. Semplicemente viene ignorato. Siamo alle solite: il figlio presente sin dal concepimento deve essere cancellato fino al punto di non considerare neppure la vita del figlio già nato. Meglio che muoia piuttosto che accettare uno strumento per la salvezza della sua vita se questo può forse sacrificare un suo futuro eventuale interesse a conoscere le sue origini. Forse la Cedu non ha considerato che il diritto a conoscere le proprie origini si oppone alla fecondazione eterologa. Questo è un aspetto positivo, ma resta la subordinazione del diritto alla vita a qualsiasi altro minore interesse. Resta la totale censura sulla vita del figlio. Ancora una volta, dopo questo episodio, si coglie l’importanza dell’iniziativa dei cittadini europei – ora aperta alla firma di noi tutti – che chiede alla coscienza dei popoli di proclamare a gran voce che anche il concepito è «Uno di noi».
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