mercoledì 18 novembre 2020
La lettera di un preside stimolata dal ragionamento pro-asili di Francesco Delzio nella sua rubrica di taglio economico-sociale aiuta a mettere a fuoco un gran tema pedagogico
Via familiare o asili nido? Un ideale tante variabili e un dibattito

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Gentile direttore,
scrivo a proposito della rubrica di Francesco Delzio dedicata sabato 7 novembre, al tema degli asili nido gratuiti, definito sin dal titolo «rivoluzione necessaria». Come dirigente scolastico mi sono interessato anni fa del passaggio dagli asili nido dell’Omni (Opera nazionale maternità e infanzia) agli asili comunali e privati. A tal fine ho frequentato i nidi, che accolgono i bimbi da 0 a 3 anni, che vivono una situazione totalmente diversa da quella dei bimbi da 3 a 6 anni perché si trovano nella fase della totale identificazione con la mamma e con le figure parentali. Sono in una fase di pieno egocentrismo e di dipendenza, solo dopo si aprono alla fase oggettiva e dell’autonomia. Nella primissima infanzia si identificano anche fisicamente con coloro che li accudiscono, in particolare con le educatrici del nido più di quanto facciano con la loro mamma. Nel periodo 0-3 apprendono la libertà motoria, il linguaggio, la comunicazione gestuale per identificazione, non sono capaci di relazioni sociali, di gioco in comune, si trastullano uno accanto all’altro, ma non interagiscono. Assumono invece l’adattamento alla routine del nido, ma non sul piano della maturazione generale. Una ricerca della professoressa Susanna Mantovani ( Asili nido. Psicologia e pedagogia, Franco Angeli Editore), ha confrontato due gruppi omogenei di circa 40 elementi di bimbi 0-3, di pari condizioni familiari: uno proveniente da convivenza familiare formata da genitori, nonni, fratelli, zii e l’altro di alunni provenienti dal nido. La docente dell’Università di Milano Bicocca, con i suoi collaboratori, li ha sottoposti a test e prove di valutazione con risultati sorprendenti: i bambini provenienti da ambiente familiare superavano di vari punti i bambini provenienti dal nido nella competenza linguistica e nelle prove di sviluppo intellettuale. I bambini del nido erano più avanti nei comportamenti di routine. Ciò dimostra che nel periodo 0 -3 è meglio che i bambini frequentino un ambiente familiare e i nidi accolgano invece i bimbi che non possono avere un contesto di famiglia. In ordine all’aspetto lavorativo c’è il part time; faccio presente che il costo del nido permetterebbe di dare un contributo economico per prolungare almeno fino ai 24 mesi la permanenza a casa delle madri.

Giampaolo Zapparoli Mantova

Gentile professore Zapparoli, grazie per la sua lettera che il nostro direttore mi affida e che ci dà l’opportunità per tornare a dialogare su una questione che tutti i genitori hanno o hanno dovuto considerare. Nella sua rubrica “Opzione Zero” del 7 novembre scorso Francesco Delzio non ha affrontato la questione asili nido dal punto di vista pedagogico. In forza della sua competenza di manager e imprenditore oltre che di analista, ha concentrato il discorso soprattutto sulle opportunità socio- economiche che si potrebbero creare con più coraggiose politiche per l’infanzia, in particolare se gli asili nido diventassero davvero gratuiti e quindi facilmente accessibili a tutti, contribuendo ad aumentare in modo significativo le possibilità di occupazione femminile, un fronte su cui l’Italia sconta ancora un gap significativo rispetto agli altri Paesi avanzati. Solo in un breve passaggio, ha sottolineato i benefici riguardanti «le maggiori capacità cognitive e di socializzazione » che si riscontrerebbero nei bambini che frequentano l’asilo nido. Un vantaggio, fa notare Delzio, soprattutto per le famiglie più povere. Sullo sfondo però rimane la questione più importante e anche più dibattuta. È davvero così? Molto opportunamente lei ricorda l’importante studio della professoressa Susanna Mantovani che sostiene con una ricca documentazione la “via familiare”. Esistono, come certamente saprà, ricerche di segno opposto, soprattutto di area anglosassone. E altre che, invece, confermano la tesi di Mantovani (per esempio quella del Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bologna su 7mila bambini, secondo cui i piccoli che non frequentano il nido hanno in media un quoziente intellettivo più elevato). Da noi aveva fatto un certo scalpore qualche anno fa una ricerca condotta dalla Fondazione Agnelli intitolata “Esiti scolastici e comportamentali, famiglia e servizi per l’infanzia”, realizzata da Daniela Del Boca e Silvia Pasqua (Università di Torino, Child e Collegio Carlo Alberto). Secondo questo studio sarebbero inequivocabili gli effetti benefici sullo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini derivanti dalla frequentazione del “nido”. Diciamo subito che le ricerche che coinvolgono bambini così piccoli sono solo ipotesi, sia perché la controprova è impossibile. Sia perché le variabili e le diverse condizioni non sono solo numerose, ma praticamente incalcolabili. Quale famiglia e quale asilo nido si pongono a confronto? Esiste l’ideale nell’uno e nell’altro caso? Evidentemente no. Saremo inguaribili familisti, ma due genitori capaci e consapevoli, magari sostenuti da una, due o addirittura quattro nonni efficienti e in buona salute, con la possibilità di dedicarsi al piccolo in modo costante nei primi due anni di vita – sulla base di una scelta assunta in piena libertà – rappresentano un valore aggiunto che non può essere messo a confronto con alcun “asilo nido”. Perché una famiglia così ha risorse sia per evitare lo sradicamento che inevitabilmente un bambino piccolissimo vive quando è allontanato da casa anche solo per qualche ora, sia per assicurare, con giudizio, quelle relazioni affettive allargate di cui ha bisogno il bambino in modo progressivo nei primi mesi di vita e che, se vengono fatte alla presenza dei genitori, rappresentano un evento meno traumatico. Certo, si tratta di una condizione ideale, sempre più rara. Quasi sempre entrambi i genitori sono al lavoro, mentre i nonni in buona salute, disponibili e residenti a distanze ragionevoli dai figli sono ormai quasi introvabili. E allora il ricorso all’asilo nido, quando si trova, e a costi accessibili, è inevitabile. Sappiamo che alcuni specialisti, come il pedagogista e nostro collaboratore Daniele Novara, rifiuta di considerare l’asilo nido una seconda opzione. E l’ha argomentato da par suo in vari articoli. Ma la partita è aperta. Senza considerare che probabilmente la via mediana, rappresentata dai micronidi aziendali, a gestione “anche” familiare, ma con la presenza di operatrici preparate, potrebbe essere il giusto bilanciamento tra affetti e professionalità, come già capita regolarmente in vari Paesi europei.

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