«Un'altra speranza è possibile». Così ora guardiamo ai migranti
giovedì 10 dicembre 2020

Caro direttore,

«La Camera approva…», ascoltarlo ieri sera mi ha dato emozione dopo giorni e settimane di un confronto denso, a momenti aspro. Quel voto ha finalmente superato le norme introdotte dai decreti dell’ex ministro dell’Interno Salvini, lo volevamo per una convinzione profonda.

Lo so, nulla riparerà le vite affogate, prima che in mare nella rimozione di guerre e violenze o nella spoliazione storica di ambiente e cibo. Però a noi rimane il dovere di agire, di non rassegnarci a una irriformabilità delle cose. Del resto, in un altro mondo possibile credevano già i migranti del passato che hanno attraversato oceani, epoche, continenti. In un’altra speranza possibile credono oggi donne, uomini, bambini, che fuggono da disperazioni o per costruirsi un futuro. Rimane anche una domanda: come è potuto consumarsi nel cuore dell’Occidente un rovesciamento dei princìpi sino all’ideologia dei muri, sino alla criminalizzazione di Ong e associazioni perché rispondevano al semplice valore della salvezza di una vita nel Mediterraneo? Forse è avvenuto perché per troppi anni il profitto con le sue regole e l’apparire con le sue imposizioni hanno finito col prevalere. In troppi hanno innalzato sul resto il prezzo di ogni cosa, ma ignorandone il valore. Poteva essere il rispetto delle donne, della salute, del diritto di un posto in mensa per i bambini. O potevano essere i bisogni da scansare e il carcere da non vedere.

Una delle ragioni per cui mi piace scrivere ad “Avvenire” è perché da queste pagine avete continuato a illuminare la dignità della persona come bussola della ricostruzione. Oggi, 10 dicembre, celebriamo la Giornata mondiale dei Diritti Umani proclamata settant’anni fa dalle Nazioni Unite. Viviamo con angoscia i mesi della pandemia, e sarebbe davvero l’anno sbagliato per considerare l’anniversario una ritualità. Questo tocca anche la sfera più intima di ognuna e ognuno di noi. Questa data deve invece spingerci a un mutamento di pensiero, linguaggi, azioni, coerenze. Penso alle radici e a quanto sono importanti in una pianta. Per noi restituire il primato giusto ai diritti umani è il modo di riconoscere le nostre radici, le basi della nostra civiltà.

Al Senato tocca ora la parola finale sulle nuove norme che puntano a unire, per riprendere un titolo di Avvenire, vera sicurezza e umanità. Gli aspetti più odiosi dei vecchi decreti sono in via di definitiva cancellazione. Non ci sono più multe milionarie e ordini di sequestro per le navi che salvano vite in mezzo al mare, si è introdotto un “permesso speciale” a compensare i vuoti lasciati, si è tornati alla logica dell’accoglienza diffusa col coinvolgimento di sindaci e associazioni per l’integrazione. Tanto ancora resta da fare, dalla modifica del regolamento di Dublino a una nuova legge di cittadinanza, dal superamento del reato di clandestinità all’estensione dei “corridoi umanitari” come abbiamo proposto con un ordine del giorno approvato.

Nelle ultime ore, giornali e talk hanno dedicato ogni attenzione all’esito del dibattito sul Mes. Lo capisco, ma quella dimensione, l’Europa dei Trattati, diventa trascinante se accompagnata dall’Europa della solidarietà, costruttrice di dialogo interreligioso e di pace. Se l’Europa è capace di tessere diplomazie e alzare la voce contro ogni repressione per la difesa della libertà, che sia per Patrick Zaki o per la Bielorussia o per lo Stato di diritto in Polonia e in Ungheria.

Graziano Delrio, intervenendo ieri alla Camera, lo ha ricordato al presidente del Consiglio Conte e a tutti noi. L’Europa dei popoli e dei diritti è un valore unico, un bene indivisibile come indivisibile è la dignità. E dà fiducia che a reclamare un’Altra economia siano le ragazze e i ragazzi, giovani imprenditori ed economi-sti, che insieme ad Assisi hanno gridato: «Lo scandalo è la povertà».

Deputata del Pd

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