Il baby boom in Georgia e l'effetto battesimi
venerdì 5 gennaio 2018

Non c’è mai una sola ragione che spiega l’andamento delle nascite in un Paese: fattori economici si intrecciano con motivi culturali, questioni sociali o politiche si confrontano con la forza delle tradizioni o il cambiamento degli stili di vita, a volte la religione può fare la differenza, altre volte non se ne ha evidenza. Una prova solida di come in determinate circostanze l’impatto del 'capitale sociale', ovvero degli aspetti culturali o morali, possa essere importante quanto e più di benefit e incentivi economici, arriva dalla Georgia.

A fornirla è lo studio che un economista americano, Lyman Stone, ha compiuto analizzando l’appello pro natalità lanciato qualche anno fa da un leader religioso, il patriarca della Chiesa ortodossa georgiana Ilia II. Nel 2007 il Paese dell’ex Unione Sovietica si trovava a fronteggiare una tipica situazione di declino demografico, con un tasso di fecondità di 1,6 figli per donna, nascite a livelli minimi, numerose interruzioni di gravidanza.

In uno scenario che ricorda molto la realtà di tante nazioni europee, il Patriarca ortodosso a un certo punto annunciò che avrebbe battezzato personalmente tutti i terzogeniti (o figli di grado superiore) che sarebbero nati da coppie sposate, facendo anche da padrino. Il risultato forse non se lo aspettava nemmeno lo stesso Ilia. Dopo il primo battesimo di massa di fine 2007, il leader religioso avrebbe tenuto a battesimo oltre 30mila bambini, quasi il 6% di tutti i neonati georgiani, più di un terzo di tutti i terzogeniti e oltre nati in seguito.

Dal 2008, un anno dopo l’annuncio, il tasso di fecondità nella Repubblica caucasica è salito sopra il tasso di sostituzione della popolazione, 2,1 figli per donna, e da lì non è più sceso. Un baby boom a tutti gli effetti. Il caso georgiano ovviamente non è molto replicabile, per ragioni culturali, ma anche perché stiamo parlando di un Paese piccolo, con una popolazione di soli 3,4 milioni di abitanti – cioè meno della Toscana, o tanti quanti vivono nell’area metropolitana milanese – e con una grande omogeneità religiosa.

Ma proprio per questo è un caso quasi perfetto di studio che può dimostrare qualcosa in genere difficile da provare, cioè quanto i fattori culturali (o morali e spirituali) possono determinare l’andamento della fertilità, e quanto il 'capitale sociale' è in grado di fare la differenza rispetto a quello economico. Lo studio, tra l’altro, ha rilevato che dopo l’appello del Patriarca la natalità è aumentata solo tra le coppie sposate, presumibilmente più vicine alla religione, a riprova che il baby boom non era nell’aria. Altrettanto interessante è il fatto che quando nel 2013 il governo georgiano ha potenziato gli incentivi alla natalità e aumentato i baby-bonus per le famiglie numerose, l’impatto dei sostegni economici ha consolidato il trend, ma non ha superato l’effetto-battesimo. Sarebbe improprio trarre considerazioni affrettate da un caso molto particolare.

La vicenda tuttavia insegna come un contesto culturale favorevole alla natalità, accogliente verso i bambini, che consideri la famiglia qualcosa di centrale nella società, possa fare molto per risollevare le sorti demografiche di un Paese. I sostegni economici pubblici restano decisivi, anche perché a loro volta aiutano a fare tendenza e a rendere evidente la scala delle priorità. Probabilmente però niente come un approccio dei leader politici o intellettuali e delle comunità, che renda protagonisti e non marginali i genitori, le famiglie, i bambini, può riuscire a cambiare il futuro di una società.

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