mercoledì 25 novembre 2015
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Oggi è l’ora dell’Africa. Papa Francesco, infatti, inizia il suo primo viaggio ad gentes nel continente, che lo porterà prima in Kenya, poi in Uganda e infine nella Repubblica Centrafricana. Questo pellegrinaggio, nella fede, si compie in un momento storico segnato da violenze, ingiustizie e sopraffazioni d’ogni genere, comprese le innumerevoli guerre più o meno “dimenticate” del nostro povero mondo. I gravissimi attentati terroristici che hanno insanguinato in questi giorni Beirut, Parigi e Bamako e le stesse situazioni di violenza e tensione che segnano anche le aree geografiche dove è atteso, avrebbero potuto indurre il Santo Padre a rinviare questa missione in terra africana. Né erano mancati suggerimenti e pressioni, in un’apparenza di buon senso, per tale scelta «dettata dall’emergenza». Eppure ha deciso di non cambiare programma, nella consapevolezza che, di fronte alle intimidazioni dei violenti, occorre testimoniare, sempre e comunque, il Vangelo della Pace. Una testimonianza fatta anche con gesti di chiara scelta di normalità, come la rinuncia ad automobili blindate o giubbetti antiproiettile, non a caso resa nota.Questo viaggio papale riassume i “fondamentali” del pensiero teologico di Bergoglio. Egli infatti si recherà in alcune delle più significative periferie, geografiche ed esistenziali del nostro tempo, a fianco dei poveri. Il fatto stesso che abbia deciso, per così dire, di anticipare l’Anno Giubilare della Misericordia, aprendo la Porta Santa nella capitale centrafricana Bangui, la dice lunga. Ben consapevole di visitare un Paese oggi segnato da morte e distruzione, papa Francesco intende così aprire un varco alla speranza, attraverso un gesto profetico contrapposto alle persistenti chiusure generate dalla globalizzazione dell’indifferenza.Il suo compito, come di consueto, sarà quello di confermare nella fede le Chiese che visiterà, aiutandole a interpretare i segni dei tempi. Una scrutatio legata alle molte sfide di un continente che ha decisamente voglia di riscatto, nonostante le croniche manchevolezze che penalizzano fortemente i ceti meno abbienti. In Kenya, come anche in Uganda, il tema dell’esclusione sociale è legato fortemente all’iniqua distribuzione della ricchezza; un fattore altamente destabilizzante che finora ha vanificato gli sforzi per affermare l’agognato sviluppo. Con la sua straordinaria capacità di empatia e di ascolto, papa Bergoglio non mancherà di mostrare, con parole e gesti, solidarietà e vicinanza ai poveri.Vi è poi la vexata quaestio del jihadismo che dà segnali nella Repubblica Centrafricana e ha contaminato il Kenya. Un fenomeno aberrante se si pensa alla strage degli studenti cristiani keniani avvenuta a Garissa lo scorso aprile, per non parlare di quella del centro commerciale Westgate di Nairobi nel settembre del 2013. Un fenomeno che trova radici e alimento in una delle più annose crisi africane, quella della Somalia.Il tema è rovente perché acuisce la cultura del sospetto, sebbene vi sia la consapevolezza che dietro le quinte si celino interessi avulsi dalla religione in quanto tale. Basti pensare alle immense ricchezze minerarie della Repubblica Centrafricana, che vanno dal petrolio all’uranio, oltre ai diamanti presenti nei grandi depositi alluvionali delle regioni occidentali del Paese. Alla luce dell’enciclica Laudato si’, la collaborazione, nell’ambito della società civile, per la pace e la giustizia, unitamente al dialogo interreligioso, rappresentano percorsi irrinunciabili per ogni credente, indipendentemente dalla professione di appartenenza.Dal punto di vista strettamente ecclesiale, emblematica sarà la visita in Uganda dove la Chiesa locale ha posticipato per quest’anno la celebrazione del cinquantesimo anniversario della canonizzazione dei 22 martiri di Namugongo avvenuta nel 1964. Ad essi vanno poi associati i beati catechisti Daudi e Jildo martirizzati nel 1918. C’è un aspetto che andrebbe sottolineato di più riguardo a questo Paese. Fra i santi e i beati ugandesi non figura alcun prete o religioso/a. Sono tutti laici, a riprova che il loro impegno battesimale ha rappresentato il lievito di una nuova umanità. Sono stati proprio loro ad avviare il processo d’inculturazione del Vangelo. L’augurio, allora, è che la parola di papa Francesco sia di incoraggiamento per tutte le giovani chiese africane affinché ritrovino maggiore fiducia in se stesse e riscoprano l’importanza del loro contributo di idee e proposte, in comunione con il Vescovo di Roma.
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