mercoledì 4 maggio 2022
Un grande antropologo dialoga su disforia di genere, problemi dei trans e questioni emerse con la proposta di legge Zan. Queste persone avanzano una domanda di accoglienza alla Chiesa
Un terzo genere non esiste. Ma c'è il nodo delle identità irrisolte

Ansa

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Gentile direttore,
da qualche tempo mi sto occupando delle questioni del “genere”. Nel novembre scorso con la Fondazione Ipsser e l’Istituto Veritatis Splendor di Bologna ho organizzato un seminario sulla disforia di genere in età evolutiva con specifico riferimento alla utilizzazione della triptorelina. Vi sono state diverse voci e posizioni, sia a favore sia critiche. Gli Atti usciranno fra qualche mese con l’editore Angeli. Ma non è di questo che le scrivo. Ho letto su “Avvenire” di qualche giorno fa l’intervista di Luciano Moia con padre Maurizio Faggioni sul tema della transessualità. Ho visto anche la segnalazione del recente volume di Moia “Figli di un dio minore”. L’ho acquistato e voglio dirle che l’ho letto d’un fiato... Riconosco che ha avuto del coraggio a sollevare il problema dei trans raccogliendo testimonianze dirette di vita dalle persone. Esse fanno pensare, anche se non sono generalizzabili. Ma non voglio nascondere qualche osservazione sulla materia. Come antropologo mi permetto di dire che mi sembra non fondata la suggestione di un terzo genere nella sessualità umana che di tanto in tanto viene tirata fuori. A parte le possibili disarmonie dovute ad anomalie cromosomiche, non vi sono elementi per supporre un terzo genere nella sessualità umana. Le variazioni dei caratteri antropometrici di ordine quantitativo nei due sessi (che conosco meglio), sono adeguatamente rappresentate in curve bimodali. Inoltre, mi permetto rilevare che mi sembra eccessivo il favore con cui vede la proposta di legge Zan che si cerca di riportare in discussione al Senato. Come saprà, sono stato critico sulla legge quando venne affrontata alla Camera, per alcune ambiguità di espressioni e per la sua prevista estensione nell’applicazione. Il progetto rivela una deriva ideologica sul genere (su cui la discussione è aperta), oltre a enfatizzare il problema nell’ambito scolastico. Certamente va tenuta presente la sentenza n. 221 della Corte Costituzionale (2015) che riconosce il diritto all’identità di genere come diritto della persona, ma non si dice come ciò debba intendersi. L’identità di genere è una espressione generica che viene intesa in modi diversi negli ambienti culturali e lascia spazio alle ideologie. Ma a parte queste osservazioni (che già conosce o immagina) il volume di Moia oltre a riferire su interessanti interviste con alcuni esperti, riporta esperienze di vita che fanno pensare e desidero ringraziarlo per questo. Conosco anch’io persone che hanno avuto simili esperienze e che sto accompagnando spiritualmente. Voglio anche aggiungere una mia opinione sul “dopo il cambiamento di sesso”. Perché non ammettere l’eventuale matrimonio religioso (per chi fosse libero da precedenti vincoli) tenendo nel dovuto conto la dimensione relazionale? Gradisca il mio cordiale saluto.

Fiorenzo Facchini sacerdote e professore emerito nell’università di Bologna


Gentile professor Facchini, caro don Fiorenzo,
la ringrazio delle sue considerazioni che apprezzo e considero con tutta la stima e l’attenzione dovute a uno studioso del suo calibro. Il fatto che lei abbia letto l’intervista con padre Faggioni e il mio volumetto – come vedo dalla lettera che il nostro Direttore mi ha girato – e che abbia avuto la gentilezza di darmene conto, mi riempie di gioia. Considero con grande attenzione anche le sue sottolineature critiche che rappresentano anche le grandi domande – irrisolte – che ho tentato di affrontare nel testo. Se è certamente difficile teorizzare una terza via nella sessualità umana, come dobbiamo considerare allora la condizione di queste persone? Se non possiamo parlare di “identità di genere”, come definire il malessere profondo fino alla tentazione suicidiaria di coloro che sono investiti da questa confusione globale, psico-somatica e spirituale? Come sa meglio di me, visto che è un esperto della materia, non sempre psicoterapia e accompagnamento spirituale bastano a risolvere il male oscuro che avvolge e intrappola queste persone. Tutti gli specialisti inoltre parlano di “identità di genere irrisolta” per definire la difficoltà di “allineamento” tra sesso biologico e sesso percepito. Infine, sulla formulazione della cosiddetta legge Zan ho le sue stesse perplessità. Mi sembrava di aver scritto chiaramente che si tratta di una legge confezionata in modo approssimativo che lascia il campo a tante ambiguità, ma che – come riconosciuto anche dai vescovi italiani e in particolare dal cardinale presidente della Cei Gualtiero Bassetti – una buona legge in materia di contrasto all’omofobia appare ormai indispensabile. Ma su questo non è il caso di soffermarci qui. Credo, invece, che sui temi della sessualità complessa dovremmo ragionare in modo sereno, anche in rapporto alla sfera spirituale – che è poi il tema del mio lavoro – perché queste persone esistono e, come ho scoperto, in tante chiedono alla Chiesa di essere accolte e considerate con rispetto e dignità. Anche quando questa accoglienza comporta la fatica – tutta evangelica – di mettere in discussione schemi culturali e pastorali che non rispondono più alle domande e alla vita concreta delle persone. Un saluto cordiale e ancora grazie.

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