venerdì 28 dicembre 2018
L'effetto del «basic income» sul lavoro: il caso dell'Ontario, dove un assegno da 1.200-1.400 dollari al mese ha dato qualche buon risultato ma è stato cancellato perché troppo costoso
Un Reddito ai poveri? Può anche funzionare
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Dopo aver passato due anni in prigione per detenzione di droga, Stan Taylor non trovava un impiego fisso in tutta la Thunder Bay. Ha sostituito un cugino nel reparto frigorifero di un supermercato. Ha lavato i piatti in un ristorante. Ha caricato e scaricato mobili per una ditta di traslochi, senza mai arrivare a racimolare gli 800 dollari (canadesi) al mese necessari per una stanza in affitto, le bollette e tre pasti caldi. Matt Specia, 37 anni, soffre di depressione da quando ne ha 13. Ma l’ha capito da poco. «L’ho curata con l’alcol per tanto tempo», spiega. Matt fa il cameriere nella cittadina di Lindsay, ma vorrebbe finire le superiori e trovare un posto più remunerativo.

Christopher, che non dà il suo cognome, ha dovuto ridurre al minimo le sue ore di servizio nella nettezza urbana di Hamilton, non lontano dalle cascate del Niagara, a causa di un grave trauma cranico. Nonostante lavorasse, ha vissuto per strada per tre anni, dormendo in rifugi e parcheggi. Finché un collega gli ha parlato di un esperimento dell’Ontario sul reddito di cittadinanza e ha fatto domanda. Sono tre delle 4mila persone che la provincia canadese ha selezionato lo scorso anno per la distribuzione di un assegno dai 1.200 ai 1.400 dollari al mese, parte di un progetto di ricerca che vuole misurare l’effetto di uno stipendio fisso di base (basic income) ai bisognosi, senza particolari requisiti. Chiunque vivesse in una delle tre aree prescelte della regione e guadagnasse meno di 34mila dollari l’anno (48mila in due) era idoneo a candidarsi. L’esperimento, della durata di tre anni, doveva rispondere a quattro domande specifiche, formulate per il governo liberale allora in carica da Hugh Segal, ex senatore canadese che per anni ha analizzato gli effetti delle politiche di assistenza sociale: «Il reddito di base è un modo più efficiente, meno intrusivo e meno stigmatizzante di fornire sostegno a coloro che vivono in povertà? – elenca –. Può ridurre l’emarginazione economica? Può abbassare i costi in altri settori della spesa pubblica, come l’assistenza sanitaria? Può rafforzare l’incentivo a lavorare, aiutando responsabilmente coloro che hanno un posto ma vivono al di sotto della soglia di povertà?».

Quesiti importanti, ai quali il governo canadese, per il momento, ha rinunciato a rispondere. Nonostante prima delle elezioni avesse promesso di esaminare i risultati del progetto pilota prima di deciderne la sorte, Doug Ford, il nuovo primo ministro, ha cancellato il programma, dichiarandolo troppo costoso. Gli assegni saranno interrotti a marzo. La migliore via d’uscita dalla povertà, ha detto Ford, è «qualcosa chiamato lavoro». La notizia ha sconvolto i 4mila partecipanti, e non solo. È stata infatti la principale associazione imprenditoriale canadese (Canadian Council for Small Business and Entrepreneurship) a far notare che il 70 per cento delle persone che ricevono il Basic income ha un impiego e che la povertà costa cara alla provincia e al Paese. Come l’associazione ha scritto in una lettera a Ottawa, «la povertà ha causato una riduzione della produzione economica e della produttività dell’Ontario dal 5,5% al 6,6% dal 2008 a oggi, corrispondente a un importo compreso tra 32,2 e 38,3 miliardi di dollari l’anno». Inoltre, spiegano ancora gli imprenditori, «i governi federale e provinciale, a partire dal 2008, hanno perso tra i 10 e 13 miliardi di dollari all’anno a causa dei costi sociali della povertà». Forti di questi dati e delle promesse del governo precedente, alcune associazioni del privato sociale hanno impugnato la decisione dell’esecutivo conservatore e hanno avviato due azioni legali: una chiede alla provincia di continuare la sperimentazione e l’altra l’accusa di violazione di un contratto.

La prima udienza è stata convocata nella corte divisionale di Oshawa il 25 gennaio. «Siamo impegnati a preparare il nostro caso – dice l’avvocato Mike Perry, che rappresenta i partecipanti al progetto –. Se la prima causa avrà successo, la seconda non sarà necessaria». Perry ha racimolato più dati possibile sui primi nove mesi del progetto, intervistando decine di destinatari, e ha trovato che gli assegni hanno già ridotto l’insicurezza alimentare, migliorato la salute e aumentato la partecipazione nella società. Un’associazione non profit, la Hamilton Roundtable for Poverty Reduction, ha inoltre condotto un sondaggio fra i partecipanti e identificato un primo importante successo dei pagamenti: hanno restituito a tutti un senso di dignità e di appartenenza alla società.

Sono risultati a breve termine, è innegabile, e uno dei punti principali che la causa vuole dimostrare è proprio che tre anni solo un lasso di tempo minimo per verificare il successo o il fallimento dell’iniziativa. Intanto i 4mila selezionati di Hamilton, Lindsay e Thunder Bay sono preoccupati. Carla Hewitt, che lavora part-time come giardiniere per il Comune, grazie al reddito di cittadinanza ha pagato i debiti accumulati per frequentare l’università e lanciato un gruppo di pulizia delle strade, StandUp4CleanUp, recentemente riconosciuto dal sindaco per aver reso Thunder Bay un posto più pulito e sicuro. «Ci sono cose incredibili che le persone possono fare se hanno le opportunità e se sono libere dal bisogno», dice Hewitt. Non ci sono stati, finora, a livello mondia-le, molti esperimenti sul reddito di cittadinanza che possano garantirne gli effetti positivi. Un progetto pilota del governo finlandese, che per due anni ha distribuito 560 euro al mese a 2mila disoccupati, finirà come previsto a gennaio. C’è molta attesa per i risultati, che saranno resi noti alla fine del 2019. La Spagna sta provando qualche cosa di simile in uno dei quartieri più poveri di Barcellona e una piccola città della California, Stockton, ha ottenuto di recente una donazione privata di un milione di dollari per finanziare la distribuzione di 500 dollari a 100 residenti a basso reddito, per 18 mesi.

Il timore dei sociologi è che le ampie differenze fra gli esperimenti non permettano di trarre conclusioni univoche, consentendo, ad esempio, di dimostrare una volta per tutte che un assegno di base non scoraggia il lavoro. Ma Karl Widerquist, docente alla Georgetown University e leader del movimento mondiale per il basic income, afferma che il reddito di base è essenziale «non solo per i più poveri, ma anche per il lavoratore medio», perché può «eliminare il giudizio e il paternalismo che pervadono i sistemi di assistenza sociale esistenti nel mondo». A suo dire «molti studi hanno dimostrato che pochissime persone che percepiscono un reddito di base abbandonano la forza lavoro. Al contrario, il reddito di base aumenta l’imprenditorialità ». È il caso di Karen Suggitt, che grazie agli assegni dell’Ontario ha aperto un piccolo negozio di tessuti a Lindsay, dove ha preso in affitto uno spazio in centro. Ora, però, teme di dover mollare tutto se i pagamenti verranno interrotti. «Il negozio non rende ancora abbastanza – dice –. Aprirlo è stato un atto di fede, pensavo che il governo avrebbe mantenuto il suo impegno».

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