giovedì 21 gennaio 2021
Il Trattato Onu che mette fuorilegge gli ordigni atomici entra in vigore il 22 gennaio. Attesa per le mosse dei «nuovi» Stati Uniti. L’appello del Papa a favore della pace
Un missile nucleare esibito durante una parata militare a Mosca

Un missile nucleare esibito durante una parata militare a Mosca - Archivio Avvenire

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Il 22 gennaio può rappresentare una data storica per la cooperazione globale Mentre lo sguardo del mondo era puntato sul grande show di Capitol Hill, il vero cambio della guardia si è svolto in una manciata di minuti sotto il sole tropicale della Florida. Fin là, al seguito di Donald Trump che ha rifiutato di partecipare all’insediamento del successore, ha viaggiato la Nuclear Football, la “valigetta nucleare” dove è contenuta l’antenna satellitare e la tessera magnetica con cui il capo della Casa Bianca può innescare un attacco atomico. Alle 12 in punto – mentre a Washigton, Joe Biden, pronunciava la solenne formula del giuramento –, quasi 1.500 chilometri più a sud, a Mar-a-Lago, i codici di attivazione sono stati annullati. E la borsa dai bordi arrotondati, ormai inoffensiva, ha fatto ritorno nella capitale insieme al militare addetto a seguire come un’ombra il presidente.

In realtà, per questioni di sicurezza, esistono tre o quattro football, di cui una è assegnata al vice-presidente. Biden, dunque, senza attendere l’arrivo del volo dalla Florida, ha avuto la sua copia subito dopo aver proferito la formula di rito. Non è solo questione di cortesia istituzionale. I codici nucleari sono il baricentro del potere geopolitico del Commander in chief. E non solo. Sulla scatola d’acciaio, inguantata nella pelle scura della valigetta, poggia l’architettura strategica internazionale. Inserire la tessera e attivarla è in grado di innescare un effetto domino letale per buona parte o addirittura l’intera umanità. Certo, gli Stati Uniti non sono gli unici ad avere “la bomba”. Nel club atomico ci sono anche Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord, per un totale di 13.410 testate sparse per il pianeta. A cercare di impedire che siano sparate le une contro le altre, finora è stata la dottrina della deterrenza, ovvero la minaccia della distruzione reciproca. Un simile equilibrio risulta evidentemente precario. Opinione condivisa da 122 nazioni che il 7 luglio 2017, all’Assemblea generale Onu, hanno messo fuori legge gli ordigni nucleari.


Le potenze atomiche e i loro alleati, inclusa l’Italia, dopo averlo invano boicottato, hanno rifiutato di aderire al bando. La loro posizione, però, non è solo minoritaria: ora è ufficialmente illegale

Domani, dopo aver ottenuto la 50esima ratifica il 24 ottobre scorso, entrerà in vigore il Trattato che ne proibisce il possesso, oltre all’impiego. Una rivoluzione copernicana strategica. Le potenze atomiche e i loro alleati, inclusa l’Italia, dopo averlo invano boicottato o guardato con sospetto, hanno rifiutato di aderire al bando. La loro posizione, però, non è solo minoritaria: è ufficialmente illegale. È il «primo strumento giu- ridicamente vincolante che vieta esplicitamente questi ordigni, il cui utilizzo ha un impatto indiscriminato, colpisce in breve tempo una quantità di persone e provoca danni all’ambiente di lunghissima durata », ha detto papa Francesco ieri, al margine dell’Udienza generale. E ha aggiunto: «Incoraggio vivamente tutti gli Stati e tutte le persone a lavorare con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, contribuendo all’avanzamento della pace e della cooperazione multilaterale», di cui l’umanità ha tanto bisogno.

Un appello più volte ripetuto da Jorge Mario Bergoglio. «L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune», aveva detto il 24 novembre 2019 al Memoriale della pace di Hiroshima. L’«eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario », ha ribadito nell’enciclica Fratelli tutti. Non sorprende, dunque, che la Santa Sede sia stata il primo Stato a sottoscrivere il bando Onu. E la sua moral suasion ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sull’urgenza di un «disarmo integrale». Costruito grazie a un lavoro di concerto globale. Proprio su quest’ultimo punto qualcosa si muove nello scenario internazionale. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha più volte promesso un ritorno al multilateralismo dopo gli strappi dell’era Trump.

Ieri, giorno dell’insediamento, l’orologio del memoriale di Hiroshima è stato reimpostato da 705 a 49 per indicare il numero dei giorni trascorsi dall’ultimo testo nucleare fortemente voluto dall’ex presidente Usa a novembre. In quel luogo, l’allora candidato democratico aveva indicato nel 75esimo anniversario del massacro, come «obiettivo ultimo», «un mondo libero dalla minaccia delle armi nucleari». Un fine, dunque, da perseguire attraverso una serie di tappe intermedie. Ed è qui che si giocherà la vera partita internazionale della nuova Amministrazione. Il primo match è imminente. Il 5 febbraio scade il New Start, firmato il 10 aprile 2010 dagli allora leader di Russia e Stati Uniti, Dmitrij Medvedev e Barack Obama. Il trattato, che limita a 1.550 le testate e a 700 i missili dispiegati, costituisce la pietra miliare di cinque decenni di politica di non proliferazione degli armamenti nucleari tra Mosca e Washington.


Il ritorno al multilateralismo annunciato da Biden, dopo gli strappi di Trump, potrebbe aprire
una stagione diversa

Dopo un lungo braccio di ferro, gli Usa di Trump erano intenzionati a non rinnovare l’accordo. Linea che Biden ha più volte detto di voler ribaltare. E la Russia, ieri, ancora prima del giuramento, ha aperto alla possibilità di accogliere tali sforzi. «Sapete che la Russia e il presidente russo hanno più volte difeso la conservazione di questo documento», ha dichiarato il portavoce, Dmitrij Peskov. Sulla necessità di mantenere in vita il New Start, anche come punto di ripartenza delle relazioni russo- statunitensi, si è pronunciato Mikhail Gorbaciov. «È necessario ricominciare da qualche parte e fare qualcosa per normalizzare le relazioni fra Russia e Stati Uniti», ha detto l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica e premio Nobel per la Pace. Sul New Start, i vescovi Usa hanno rivolto, sabato, un appello a Biden, chiedendogli di fare «dei negoziati per il disarmo nucleare una priorità assoluta». Un nuovo corso con il Cremlino, tuttavia, è solo uno dei molti dossier spinosi sul tavolo dell’Amministrazione entrante. A cominciare dall’Iran.

L’uscita di Trump dall’accordo tra Teheran e i 5+1, nel 2018, e le successive sanzioni hanno rappresentato una frattura difficile di sanare nel breve periodo. Il presidente Hassan Rohani, tuttavia, ha aperto alla possibilità di un nuovo inizio con Biden, dopo la fine «del terribile regno del tiranno». La politica mediorientale di quest’ultimo, in ogni caso, dovrà mantenere un equilibrio con le dinamiche prodotte dai recenti Accordi di Abramo, che hanno cercato di compattare i Paesi sunniti contro il comune nemico sciita. Vi è, infine, l’eterno duello con Pyongyang, acuito e smorzato a fasi alterne da Trump. Il successore ha annunciato una campagna strategica e concertata – con alleati e non, inclusa la Cina – per una Corea del Nord denuclearizzata. Sfida non facile: appena la settimana scorsa, Kim Jong-un ha mostrato un nuovo tipo di missili balistici da sottomarino, su cui possono essere piazzate delle testate. E al recente Congresso ha definito gli Usa «il più grande nemico». Retorica a parte, però, la carta Pechino potrebbe rivelarsi preziosa per riportare Kim nei ranghi. La chiave è, ancora una volta, il multilateralismo. Approccio quest’ultimo sempre auspicabile nelle relazioni diplomatiche. Nella politica nucleare diviene, però, questione di vita o di morte.

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