giovedì 13 dicembre 2012
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I lati oscuri e luminosi delle cronache d’Afghanistan non sono una novità per i lettori di Avvenire. Mai, infatti, abbiamo distolto lo sguardo da ciò che nel bene e nel male accade in quel tormentato Paese dove al sangue di donne, uomini e bambini afghani si è mescolato quello di 52 militari nostri connazionali. Oggi, pubblichiamo a pagina 4 uno straordinario reportage dal carcere femminile di Herat scritto per noi da un ministro della Repubblica, Paola Severino, donna e giurista di grande valore. Le siamo grati per l’onestà del racconto e la lucidità con cui è andata al cuore di fatti e problemi. Ritroviamo la stessa saggezza che nei mesi scorsi ha riversato nel suo servizio "tecnico" alla Giustizia italiana. E un per noi familiare preoccuparsi di ciò che è essenziale: le persone, e le persone più fragili e più vulnerabili. Dunque, anche i carcerati. Dunque, soprattutto le donne.I lettori ritroveranno anche un po’ delle facce e delle mani migliori d’Italia. Facce e mani che quasi sempre senza grandi ribalte – finendo se militari o uomini delle istituzioni persino travisati – contribuiscono in Afghanistan e altrove a indicare e rappresentare mete di civiltà e di pace e a tenere alta la credibilità del nostro Paese. Facce e mani di chi fa bene, fa fatica, si misura con l’angoscia e la violenza. Di chi si appassiona e serve per ideali e doveri puliti e alti, anche compiendo errori, vivendo contraddizioni, partecipando a tragedie belliche, ma sempre con retta coscienza. Sono le facce e le mani di chi serve come soldato, come volontario, come missionario. Li metto tutti assieme. Perché assieme sono la faccia migliore di un’Italia che merita di essere stimata, amata e rappresentata. E che lascia un segno di giustizia e di speranza là dove agisce.
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