Se nemmeno si dice pace. L'Europa e l'escalation bellica
sabato 10 settembre 2022

Le difficoltà incontrate sul campo di battaglia ucraino spingono Vladimir Putin, ogni giorno di più, a moltiplicare i fronti del conflitto. La guerra sulle forniture del gas e del grano, la minaccia nucleare della centrale di Zaporizhzhia, la disinformazione quotidiana (interna ed esterna), l’attivismo diplomatico verso i Paesi asiatici e africani. Accusando l’Occidente di essere la causa dell’instabilità globale, l’uomo del Cremlino cerca di distogliere l’attenzione dalle difficoltà che l’avanzata incontra sul terreno, trascinando il mondo intero in un gorgo di cui non si riesce a vedere il fondo.

Lo si è ripetuto mille volte in questi mesi: opporsi all’invasore è doveroso. Accettare la flagrante rottura delle regole della convivenza internazionale avrebbe conseguenze incalcolabili. Ma in questa necessaria opposizione si deve anche evitare di assecondare il gioco che lo stesso Putin sta cercando di sviluppare: costringerci ad adottare la logica dello scontro senza via d’uscita.

Non si dovrebbe mai dimenticare che l’escalation del conflitto porterebbe a un disastro globale, senza alcun vincitore. Un esito che tanti, a differenza del Papa che continua a parlare forte e chiaro e a mobilitare le coscienze, troppo facilmente non considerano.

Nell’evoluzione di questi mesi, a cambiare è stata soprattutto la posizione dell’Europa. Superato lo choc iniziale, oggi, alle porte dell’inverno, mentre le immagini dal fronte sfumano nel retroscena, è la questione energetica che fa paura. Nella nuova situazione che si è andata formando in questi mesi, l’Europa rischia, come si avverte da tempo su queste pagine, di essere il vaso di coccio di una nuova guerra fredda globale. Il terreno di scontro per la supremazia mondiale, con un velato e comune interesse all’indebolimento del nostro continente. La cronicizzazione del conflitto avrebbe effetti pesantissimi.

È per fermare questa deriva che l’Europa deve giocare con intelligenza la propria partita. Concretamente ciò significa due cose. La prima è rafforzare la capacità dell’Unione di dare risposte unitarie alla crisi. Lo si è già visto durante la pandemia: per arrivare a un risultato comune, occorre abbattere le tante resistenze derivanti dalla inadeguatezza del sistema di governo europeo. Che rischia di finire vittima del gioco dei veti incrociati, come si vede in questi giorni rispetto al prezzo dell’energia.

Eppure non c’è altra scelta: comporre gli interessi divergenti nel quadro di una politica comune è l’esercizio di intelligenza politica richiesto: che consiste esattamente nella capacità di trovare soluzioni a contraddizioni apparentemente insanabili. Per evitare che l’inverno ci travolga.

La seconda cosa è non dimenticarsi nemmeno per un momento che, mentre ci si oppone all’azione di Putin, è necessario alimentare con costanza e determinazione la ricerca di una pur difficilissima via di pace. Di cui nessuno sembra parlare più. L’interesse dell’Europa – secondo lo spirito e la lettera dell’appello lanciato anche da Anpi, Arci, Movimento europeo e dal direttore di "Avvenire" – è invece di lavorare per far crescere ogni spiraglio possibile di negoziato.

Il primo punto è il coinvolgimento dell’Onu nella ricerca di soluzioni ai diversi aspetti delle crisi globale in atto. Lo abbiamo visto in questi giorni con la missione dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) a Zaporizhzhia. Il problema non è stato risolto. Ma avere il rapporto di un Ente terzo che indica che cosa fare per evitare un disastro di proporzioni incalcolabili costituisce un enorme passo in avanti. Sappiamo tutti quanto l’Onu sia oggi debole. E, tuttavia, non esiste uno strumento diverso per la gestione di una crisi globale come quella derivante dalle vicende ucraine.

Il secondo spiraglio ha a che fare con l’elaborazione dei termini di un possibile terreno di compromesso basato sul principio del riconoscimento della integrità dell’Ucraina, da un lato, e dalla rinuncia all’espansione della Nato verso Est, dall’altro. Una proposta su cui sono tornati in molti in queste ultime settimane, che consentirebbe a Putin una via d’uscita senza però cedere sul tema del riconoscimento della piena indipendenza Ucraina.

Il terzo spiraglio è lavorare per dilatare i dubbi che affiorano in Cina e in India circa la strategia di Putin. Nessuna illusione sull’orientamento di fondo di questi due Paesi, che vedono di buon occhio l’indebolimento dell’Occidente. Ma è pur vero che entrambi sono sensibili ad avere condizioni favorevoli alla crescita economica. Ed è su questa esigenza che si deve fare leva.
Putin vuole giocare la carta dell’inverno per mettere in difficoltà l’Europa dal punto di vista politico e indebolirla dal punto di vista economico.

Di fronte a questa situazione, l’Unione è chiamata a una difficile prova di maturità, che può essere superata solo facendo ricorso a quel patrimonio di saggezza che abita la storia del nostro continente. Senza cadere nella trappola del pensiero unilaterale. L’Europa non deve demordere da quella vocazione di pace che l’ha caratterizzata dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Se smarrisse questa vocazione, sarebbe la stessa Europa a non esistere più.

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