giovedì 5 maggio 2022
Le scuse di Putin al premier israeliano per le frasi antisemite di Lavrov segnalano la volontà russa di non essere esclusi della scena internazionale. Ma l’andamento della guerra frena il negoziato
Guerra, giorno 71: si cercano mediatori, Bennett ed Erdogan dietro le quinte
COMMENTA E CONDIVIDI

Nel 71° giorno di guerra s’annuncia sempre più debole la prospettiva di una tregua e di una trattativa concreta, se non entrerà in campo un’iniziativa strutturata di interlocutori credibili, capaci di smuovere il Cremlino con un colpo d’intelligenza diplomatica. Nel rincorrersi di voci in mancanza di fatti certi, due sembrano i leader politici (fatta eccezione ovviamente del Papa che rimarrebbe il più neutrale dei mediatori) rimasti in campo per provare a invertire il corso della crisi. Si tratta del presidente turco Recep Tayyp Erdogan e del premier israeliano Naftali Bennett (nella foto).

Quest’ultimo era volato a Mosca nei primi giorni dell’invasione, ma la sua missione non aveva portato evidenti risultati. Gerusalemme è stata alla finestra in questi mesi, aderendo al fronte occidentale costituito nella riunione di Ramstein presieduta dal ministro della Difesa americano Lloyd Austin, ma senza una partecipazione particolarmente attiva. Il fatto che il presidente Putin si sia sentito in dovere di chiamare Bennett per precisare che l’esternazione del suo ministro degli Esteri sulle origini ebraiche di Hitler sia stata una gaffe e per porgerli le scuse della Russia potrebbe significare che il premier israeliano è ancora ritenuto una figura non del tutto ostile al Cremlino.

In generale, comunque, la telefonata del leader di Mosca segnala un fatto importante. Non tanto la sconfessione pubblica di uno dei suoi più stretti collaboratori, forse quello che da più anni è al governo con lui, quanto la volontà di non affossare del tutto la propria immagine pubblica. Dopo le accuse aperte di crimini di guerra, l’ipotizzata possibilità di metterlo sotto accusa alla Corte penale internazionale dell’Aja, le sanzioni a tutta la sua cerchia, si poteva pensare che Putin si fosse rassegnato a non potere tornare un protagonista sulla scena internazionale alla fine della guerra.

Ecco allora la previsione di un atteggiamento da “tanto peggio tanto meglio”, letto nelle ripetute evocazioni dell’Apocalisse nucleare fatta da numerosi esponenti della nomenklatura russa. Ora, invece, il fatto che voglia smentire l’idea di un antisemitismo di Stato vigente a Mosca e faccia un passo inusuale di correzione politica e di ammissione di un errore potrebbe essere letto come il segno di una diversa prospettiva. Quella di arrivare a una pace che possa salvare la sua posizione di leader in patria e di legittimo attore sulla scena globale al pari degli altri capi di Stato e di governo.

Non sarà facile. Per questo, tuttavia, serve un percorso diplomatico che va propiziato da un rappresentante terzo che avvii il processo. A svolgere questo ruolo, come detto, si candida proprio Bennett, che però le parole di Lavrov nell’intervista a Rete4 sembravano spingere nelle braccia di Kiev. L’altro è l’uomo forte di Ankara, che vuole rifarsi il trucco anche in vista delle prossime elezioni interne. Dalla Turchia di Erdogan i movimenti diplomatici potrebbero coinvolgere anche l’Italia e, forse, poi allargarsi ad altri Paesi europei che si staccassero un po’ dalla linea americana per tentare una via di dialogo che non penalizzi però l’Ucraina.

Non si può dimenticare che Zelensky è la controparte del Cremlino e che non sembra disposto attualmente ad ampie concessioni, nel momento in cui annuncia addirittura una controffensiva nel Donbass e continua a ricevere armamenti e aiuti dall’Occidente. Inutile nascondersi che finché rimane plausibile una “vittoria” sul campo di Kiev – equivalente all’impedire avanzamenti russi nell’Est e a Sud – difficilmente ci si potrà sedere a un tavolo nel breve periodo. In quello scenario, soltanto la progressiva distruzione degli arsenali porterà le parti a scegliere la strada del negoziato.

È pertanto necessaria, e adesso, una figura che sappia creare uno Road map di pace credibile e conveniente per tutti. Sullo sfondo, l’altro gigante mondiale, la Cina, che pare più interessata a capitalizzare la costosa sfida tra Russia e Stati Uniti piuttosto che intervenire per provare a mettere fine alla guerra.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: