martedì 7 giugno 2022
Medvedev attacca l'Occidente. L'Italia reagisce compatta. Anche la disinformazione diventa un'arma. Kiev teme i discorsi che ritardano le forniture di armi, il Cremlino risponde con la sua propaganda
Guerra giorno 104: le parole pesanti che adesso cercano di orientare la crisi
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Nel giorno 104 della guerra in Ucraina non si smette di combattere nel Donbass, dove lo scontro continua a registrare piccoli avanzamenti da una parte e dall’altra, mentre si attende una vera svolta sull’esportazione di grano. Ma l’offensiva diventa soprattutto verbale in una crisi che non trova sbocchi verso una tregua o una chiara prevalenza di uno dei due belligeranti.

Ha acceso le polveri nelle ultime ore su Telegram il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente della Federazione, Dmitry Medvedev, riferendosi a chi è contro il suo Paese. “Mi viene spesso chiesto perché i miei post sono così duri. La risposta è che li odio. Sono bastardi e imbranati. Vogliono la nostra morte, quella della Russia. E finché sono vivo, farò di tutto per farli sparire", ha scritto Medvedev. In precedenza, si era scagliato contro la Commissione europea per l'adozione del sesto pacchetto di sanzioni, "sicuramente per fare a pezzi la nostra economia. Gli imbecilli europei nel loro zelo hanno dimostrato ancora una volta di considerare i propri cittadini, i propri affari, come nemici non meno dei russi".

In Italia le reazioni sono state forti e unanimi, anche da parte di chi cerca di individuare una via di negoziato e non è fautore dell’invio di altri armamenti a Kiev. D’altra parte, è diffusa l’acuta consapevolezza che le parole possano essere decisive in questa fase del conflitto. Politici e commentatori ucraini temono che ogni dubbio sollevato o ogni dibattito in merito al sostegno alla loro causa rallenti le scelte e le decisioni. E ogni ritardo nella consegna di altri arsenali difensivi – si argomenta – non può che essere causa di morti e distruzioni. In questo senso, le parole uccidono.

Ne è convinta, ovviamente, anche Mosca, che da tempo mette in campo una retorica minacciosa verso tutti coloro che appoggiano la resistenza ucraina facendo balenare scenari apocalittici in caso di un’ulteriore escalation, nella speranza che le opinioni pubbliche si intimoriscano e possano spingere i loro governi ad accettare compromessi con il Cremlino, anche a scapito dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina. E alcuni Paesi sembrano essere stati bersagli specifici della disinformazione.

Diventa anche più difficile districarsi nella propaganda costruita per disinformare e orientare i fruitori dei media in una direzione o nell’altra. Si sta però rivelando decisivo l’impronta sostanzialmente liberale e democratica dell’Ucraina rispetto all’opacità assoluta dell’autocrazia del Cremlino. A Kiev non mancano ombre e, ovviamente, in tempo di guerra la verità è sempre tra le vittime. Tuttavia, l’accesso consentito ai media internazionali e anche alcune mosse, come la rimozione da parte del Parlamento della Commissaria per i diritti umani Lyudmila Denisova, accusata di esagerare i casi di stupro commessi dagli occupanti russi, testimoniano un certo grado di trasparenza.

Di contro, dal Cremlino sono arrivate fake news che sono riuscite soltanto ad attenuare o a ritardare le denunce di crimini di guerra e contro l’umanità che nelle scorse settimane hanno cominciato a emergere fino a diventare fatti comprovati o comunque ipotesi di reato con un bagaglio di robuste prove documentali. Ma gli strascichi di notizie imprecise o volutamente falsate si sono diffusi in molti Paesi, anche dove il sistema dell’informazione ha validi anticorpi.

La situazione in Italia è complicata sia dalla divisione tra i partiti sull’appoggio o meno alla linea di sostegno armato all’Ucraina sia dall’ampia offerta di talk-show giocati storicamente sulla contrapposizione tra pareri divergenti. Tutto ciò non giova alla corretta prospettazione della crisi, dei suoi protagonisti e delle sue dinamiche. Nello stesso tempo, non significa che sia impossibile accedere a una informazione precisa e approfondita, per chi lo voglia fare. La dinamica di un Paese libero comporta anche una cacofonia di voci. Sta alla deontologia professionale degli operatori dei media fare sì che il pluralismo non lasci spazio a faziosità, propaganda e falsità vere e proprie. Non sono tuttavia censure preventive o limiti posti dall’alto che devono regolare il traffico delle opinioni.

La guerra in Ucraina ci lascia anche questo importante tema di riflessione sulla rilevanza dell’informazione e sulla sua adeguata regolazione.


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